Dal Rapporto Ecomafia 2018 dati allarmanti: Antonio Pergolizzi di Legambiente, curatore del dossier, spiega gli antidoti al crimine ambientale. Di seguito l’articolo di Manuela Petrini pubblicato da In Terris
“A quanto ammonta il fatturato dell’ecomafia in Italia? Si tratta di un business che raggiunge quota 14 miliardi di euro nel 2017, il 9,4% in più rispetto al 2016. Sono i dati che emergono dal Rapporto Ecomafia 2018 diffuso da Legambiente. Lo scorso anno sono state emesse 538 ordinanze di custodia cautelare per reati ambientali, il 139,5% in più rispetto al 2016. Un risultato importante, dovuto all’applicazione della legge 68/2015 che tre anni fa ha introdotto nel codice penale nuove fattispecie di reati.
Secondo quanto riferito dai ministero della Giustizia sono stati effettuati 158 arresti per i delitti di inquinamento ambientale, disastro e omessa bonifica, con ben 614 procedimenti penali avviati, contro i 265 dell’anno precedente. La legge 68 è stata applicata dalle forze dell’ordine 484 volte, portando alla denuncia di 31 persone giuridiche e 913 persone fisiche (25 gl arresti), cui si aggiungono 106 sequestri per un valore complessivo di oltre 11,5 milioni di euro.
Il settore più interessato è quello dei rifiuti dove si concentra quasi un quarto dei crimini ambientali, seguito da animali e fauna selvatica (22,8%), incendi boschivi (21,3%), “ciclo illegale del cemento” e abusivismo edilizio (12,7%). “La corruzione rimane purtroppo – si legge nel rapporto di Legambiente – il nemico numero uno dell’ambiente e dei cittadini, che nello sfruttamento illegale delle risorse ambientali riesce a dare il peggio di se'”. Nel Rapporto vengono al riguardo sottolineati “l’alto valore economico dei progetti in ballo e l’ampio margine di discrezionalità in capo ai singoli amministratori e pubblici funzionari, che dovrebbero in teoria garantire il rispetto delle regole e la supremazia dell’interesse collettivo su quelli privati, crea l’humus ideale per le pratiche corruttive”. In Terris ha approfondito l’argomento con Antonio Pergolizzi, curatore del Rapporto Ecomafia 2018 di Legambiente.
Il 22 maggio 2015 è entrata in vigore la legge 68 sugli ecoreati. La sua introduzione nel Codice Penale sta funzionando?
“Assolutamente sì, sta funzionando bene. Il principio ‘chi inquina paga’ finalmente è stato inserito anche nel nostro Codice Penale, quindi adesso abbiamo delle nuove fattispecie delittuose, per cui i delitti ambientali vengono puniti per quello che realmente sono: un crimine contro l’umanità, senza esagerare. E’ stato un passo in avanti importante perché prima del 2015 si trattava di reati di tipo contravvenzionale, per cui si prescrivevano rapidamente e non c’erano sanzioni adeguate. Ora anche il Codice Penale si occupa di reati ambientali e questo è un fatto positivo”.
Diverse zone d’Italia devono fare i conti con i rifiuti abbandonati in strada. Questa situazione potrebbe essere un imput a commettere ecoreati?
“Una cosa sono i reati ambientali propriamente detti, una cosa è l’inciviltà dei cittadini. Noi principalmente ci occupiamo soprattutto di crimini, sul grado di malcostume, la risposta sarebbe un po’ più complicata. E’ chiaro che in quiei contesti dove non si fa una buona prevenzione e dove il territorio non è presidiato, si potrebbero verificare fenomeni di smaltimento illecito. Ci vuole il concorso di tutti, sia della cittadinanza, che deve essere responsabile e attiva, sia delle istituzioni che devono controllare, ma se le persone non svolgono il loro ruolo, si può fare ben poco”.
A volte, le persone costruiscono abusivamente e aspettano un condono per non sprofondare nelle maglie della burocrazia edilizia. Una “sburocratizzazione” delle pratiche potrebbe essere un modo per limitare gli abusi edilizi?
“Va bene sburocratizzare, ma non vorrei che questo diventasse un facile alibi. Un conto è rendere più fluida la filiera produttiva e consentire al costruttore di poter operare, un’altra cosa, invece, è pensare di dover creare una sorta di deregulation in campo edilizio. Il problema è che tutti dovrebbero rispettare le regole, ma molto spesso vengono utilizzate come pretesto e si cerca di aggirarle in base a un principio del tutto arbitrario. Ci sono troppi cittadini e imprese che operano in maniera completamente illegale, questo è il grande tema. La sburocratizzazione può avere senso soprattutto nei settori produttivi, a livello di gestione di rifiuti, però senza creare facili alibi. Non è un problema della burocrazia se si commettono crimini ambientali. Non può diventare un meccanismo di legittima difesa, ci sono le regole perché queste servono a preservare l’ambiente, i cittadini e l’integrità di un territorio. Parliamo di immobili costruiti senza uno straccio di autorizzazione, permessi utilizzati in maniera impropria, illegittima. Sono argomenti seri. Peraltro le sanzioni penali sono ancora ridicole in campo edilizio, nessuno va veramente in galera, nessuno paga effettivamente”.
Il ministro dell’ambiente, Sergio Costa, durante la presentazione del rapporto ha ribadito la proposta il “daspo ambientale”, un po’ sulla scia di quanto avviene in campo sportivo. E’ un segnale di rinnovata attenzione di questo governo alla tutela dell’ambiente?
“Di questo ministro direi… Dal governo ancora ci aspettiamo interventi seri. Sergio Costa è una persona molto attenta, che conosciamo da una vita, compagno, amico di tante battaglie, di cui ci fidiamo pienamente. Quindi sappiamo di essere in buone mani. Meglio non ci poteva capitare, è una persona che sa di cosa parla”.
Come Legambiente avete chiesto di riprendere la proposta di disegno di legge del 2015 sulla tutela dei prodotti alimentari della Commissione ministeriale presieduta dall’ex procuratore Gian Carlo Caselli che introduce una serie di reati che vanno dall'”omesso ritiro di sostanze alimentari pericolose” dal mercato al “disastro sanitario”. Se questa proposta dovesse diventare legge, potrebbe essere un primo passo per cercare di risolvere la situazione della “Terra dei fuochi”?
“Il problema non riguarda solo la Terra dei fuochi. In quella zona è presente una criminalità organizzata molto pervasiva che, anche se in estremo ritardo, si sta colpendo già da qualche anno e si cominciano a vedere i primi frutti. Lì, il settore agroalimentare è stato la prima vittima di quello scempio ambientale. Tra gli agricoltori e le aziende zootecniche, ovviamente noi sappiamo che c’erano anche quelli in combutta, ma noi sappiamo che la stragrande maggioranza delle imrpese sono state danneggiate. Il disegno di legge va a colpire l’agropirateria, quella criminalità economico-ambientale che fa affari falsificando e mettendo in circolazione prodotti falsamente denominati eccetera eccetera… E’ un aiuto a uno dei pezzi più importanti del ‘Made in Italy’, quindi a favore di tutto il settore agrolimentare, quello serio, quello di tutto il territorio nazionale”.
E cosa dovrebbe fare il governo per sanare la situazione nella Terra dei fuochi?
“Un po’ è stato fatto. Occorre presidiare, monitorare, controllare, puntare sulla prevenzione, incentivare le buone pratiche, come già in parte si sta facendo. Il terrirotorio tra la provincia di Napoli e Caserta è diventato un laboratorio di economia civile e sociale. Ci sono cooperative ed esperienze di economia circolare. C’è stata e c’è una ribellione civile molto importante in quel territorio. Quindi queste realtà vanno aiutate, sostenute e incoraggiate. Poi bisogna fare ovviamente le politiche e, assolutamente, voltare pagina supportando quella maggioranza di cittadini, aziende e associazioni che si muovo nel solco della legalità. Il governo sta facendo da qualche anno dei passi in avanti, bisogna proseguire su questa strada. Quello è un pezzo d’Italia, non ha bisogno di leggi speciali o particolari, ma è necessario l’impegno e la partecipazione di tutti, dalle istituzioni ai corpi intermedi, fino alla cittadinanza”.
A quanto ammonta il fatturato dell’ecomafia in Italia? Si tratta di un business che raggiunge quota 14 miliardi di euro nel 2017, il 9,4% in più rispetto al 2016. Sono i dati che emergono dal Rapporto Ecomafia 2018 diffuso da Legambiente. Lo scorso anno sono state emesse 538 ordinanze di custodia cautelare per reati ambientali, il 139,5% in più rispetto al 2016. Un risultato importante, dovuto all’applicazione della legge 68/2015 che tre anni fa ha introdotto nel codice penale nuove fattispecie di reati.
Secondo quanto riferito dai ministero della Giustizia sono stati effettuati 158 arresti per i delitti di inquinamento ambientale, disastro e omessa bonifica, con ben 614 procedimenti penali avviati, contro i 265 dell’anno precedente. La legge 68 è stata applicata dalle forze dell’ordine 484 volte, portando alla denuncia di 31 persone giuridiche e 913 persone fisiche (25 gl arresti), cui si aggiungono 106 sequestri per un valore complessivo di oltre 11,5 milioni di euro.
Il settore più interessato è quello dei rifiuti dove si concentra quasi un quarto dei crimini ambientali, seguito da animali e fauna selvatica (22,8%), incendi boschivi (21,3%), “ciclo illegale del cemento” e abusivismo edilizio (12,7%). “La corruzione rimane purtroppo – si legge nel rapporto di Legambiente – il nemico numero uno dell’ambiente e dei cittadini, che nello sfruttamento illegale delle risorse ambientali riesce a dare il peggio di se'”. Nel Rapporto vengono al riguardo sottolineati “l’alto valore economico dei progetti in ballo e l’ampio margine di discrezionalità in capo ai singoli amministratori e pubblici funzionari, che dovrebbero in teoria garantire il rispetto delle regole e la supremazia dell’interesse collettivo su quelli privati, crea l’humus ideale per le pratiche corruttive”. In Terris ha approfondito l’argomento con Antonio Pergolizzi, curatore del Rapporto Ecomafia 2018 di Legambiente.
Il 22 maggio 2015 è entrata in vigore la legge 68 sugli ecoreati. La sua introduzione nel Codice Penale sta funzionando?
“Assolutamente sì, sta funzionando bene. Il principio ‘chi inquina paga’ finalmente è stato inserito anche nel nostro Codice Penale, quindi adesso abbiamo delle nuove fattispecie delittuose, per cui i delitti ambientali vengono puniti per quello che realmente sono: un crimine contro l’umanità, senza esagerare. E’ stato un passo in avanti importante perché prima del 2015 si trattava di reati di tipo contravvenzionale, per cui si prescrivevano rapidamente e non c’erano sanzioni adeguate. Ora anche il Codice Penale si occupa di reati ambientali e questo è un fatto positivo”.
Diverse zone d’Italia devono fare i conti con i rifiuti abbandonati in strada. Questa situazione potrebbe essere un imput a commettere ecoreati?
“Una cosa sono i reati ambientali propriamente detti, una cosa è l’inciviltà dei cittadini. Noi principalmente ci occupiamo soprattutto di crimini, sul grado di malcostume, la risposta sarebbe un po’ più complicata. E’ chiaro che in quiei contesti dove non si fa una buona prevenzione e dove il territorio non è presidiato, si potrebbero verificare fenomeni di smaltimento illecito. Ci vuole il concorso di tutti, sia della cittadinanza, che deve essere responsabile e attiva, sia delle istituzioni che devono controllare, ma se le persone non svolgono il loro ruolo, si può fare ben poco”.
A volte, le persone costruiscono abusivamente e aspettano un condono per non sprofondare nelle maglie della burocrazia edilizia. Una “sburocratizzazione” delle pratiche potrebbe essere un modo per limitare gli abusi edilizi?
“Va bene sburocratizzare, ma non vorrei che questo diventasse un facile alibi. Un conto è rendere più fluida la filiera produttiva e consentire al costruttore di poter operare, un’altra cosa, invece, è pensare di dover creare una sorta di deregulation in campo edilizio. Il problema è che tutti dovrebbero rispettare le regole, ma molto spesso vengono utilizzate come pretesto e si cerca di aggirarle in base a un principio del tutto arbitrario. Ci sono troppi cittadini e imprese che operano in maniera completamente illegale, questo è il grande tema. La sburocratizzazione può avere senso soprattutto nei settori produttivi, a livello di gestione di rifiuti, però senza creare facili alibi. Non è un problema della burocrazia se si commettono crimini ambientali. Non può diventare un meccanismo di legittima difesa, ci sono le regole perché queste servono a preservare l’ambiente, i cittadini e l’integrità di un territorio. Parliamo di immobili costruiti senza uno straccio di autorizzazione, permessi utilizzati in maniera impropria, illegittima. Sono argomenti seri. Peraltro le sanzioni penali sono ancora ridicole in campo edilizio, nessuno va veramente in galera, nessuno paga effettivamente”.
Il ministro dell’ambiente, Sergio Costa, durante la presentazione del rapporto ha ribadito la proposta il “daspo ambientale”, un po’ sulla scia di quanto avviene in campo sportivo. E’ un segnale di rinnovata attenzione di questo governo alla tutela dell’ambiente?
“Di questo ministro direi… Dal governo ancora ci aspettiamo interventi seri. Sergio Costa è una persona molto attenta, che conosciamo da una vita, compagno, amico di tante battaglie, di cui ci fidiamo pienamente. Quindi sappiamo di essere in buone mani. Meglio non ci poteva capitare, è una persona che sa di cosa parla”.
Come Legambiente avete chiesto di riprendere la proposta di disegno di legge del 2015 sulla tutela dei prodotti alimentari della Commissione ministeriale presieduta dall’ex procuratore Gian Carlo Caselli che introduce una serie di reati che vanno dall'”omesso ritiro di sostanze alimentari pericolose” dal mercato al “disastro sanitario”. Se questa proposta dovesse diventare legge, potrebbe essere un primo passo per cercare di risolvere la situazione della “Terra dei fuochi”?
“Il problema non riguarda solo la Terra dei fuochi. In quella zona è presente una criminalità organizzata molto pervasiva che, anche se in estremo ritardo, si sta colpendo già da qualche anno e si cominciano a vedere i primi frutti. Lì, il settore agroalimentare è stato la prima vittima di quello scempio ambientale. Tra gli agricoltori e le aziende zootecniche, ovviamente noi sappiamo che c’erano anche quelli in combutta, ma noi sappiamo che la stragrande maggioranza delle imrpese sono state danneggiate. Il disegno di legge va a colpire l’agropirateria, quella criminalità economico-ambientale che fa affari falsificando e mettendo in circolazione prodotti falsamente denominati eccetera eccetera… E’ un aiuto a uno dei pezzi più importanti del ‘Made in Italy’, quindi a favore di tutto il settore agrolimentare, quello serio, quello di tutto il territorio nazionale”.
E cosa dovrebbe fare il governo per sanare la situazione nella Terra dei fuochi?
“Un po’ è stato fatto. Occorre presidiare, monitorare, controllare, puntare sulla prevenzione, incentivare le buone pratiche, come già in parte si sta facendo. Il terrirotorio tra la provincia di Napoli e Caserta è diventato un laboratorio di economia civile e sociale. Ci sono cooperative ed esperienze di economia circolare. C’è stata e c’è una ribellione civile molto importante in quel territorio. Quindi queste realtà vanno aiutate, sostenute e incoraggiate. Poi bisogna fare ovviamente le politiche e, assolutamente, voltare pagina supportando quella maggioranza di cittadini, aziende e associazioni che si muovo nel solco della legalità. Il governo sta facendo da qualche anno dei passi in avanti, bisogna proseguire su questa strada. Quello è un pezzo d’Italia, non ha bisogno di leggi speciali o particolari, ma è necessario l’impegno e la partecipazione di tutti, dalle istituzioni ai corpi intermedi, fino alla cittadinanza”.
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