Via della Scala è ancora là ed io dal letto 26 guardo dalla finestra e vedo che non ci sei. La Rai è sempre là da Prati a Saxa Rubra guarda fuori e non trova più nessuno dei suoi mondi. Come un macigno duro e ottuso, anche ora che si avvicina lo tsunami, guarda dentro i suoi intestini e parteggia fra onde acide batteriche per un’ulcera più rossa e purulenta delle altre. La carne è però finita; di altra ce n’è in abbondanza. Manichini di cera, affollate nel frontstage le telegiornaliste dallo strabismo di venere che sul palco del busto di tre quarti del non più piccolo schermo recitano senza un tocco di emozione tante e tutte le news in salsa politicamente corretta manettara quando la pelle, che può anche non invecchiare e la bellezza semimatura e matura in veli trasparenti ma che si vede di più che non, testimonia la contrarietà interiore e manifesta all’andazzo de tempi. I direttori dicono però che in prima linea devono andare le femmine. Lo dicono anche per non finire in procura. Sotto lo scollo e la scrivania qualcuna sgrana un rosario ligneo. Non sono state poche le vittorie del raiismo, a partire dall’elezione tre anni fa a presidente della Fnsi, il sindacato unitario dei giornalisti italiani, di Giuseppe Giulietti, l’ideologo della contorta ideologia raiista e leader del suo corpo armato. La Rai è riuscita a farsi pagare le centinaia di milioni di canone che mancavano da anni, dopo che è riuscita a piazzare parte di Raiway in borsa. Si è imposta nel conflitto sull’antico tema femminile dell’uso televisivo del corpo della donna, quello che era il tema principe della nascita dei movimenti femministi romani 50 anni fa si è in questi giorni chiuso in cerchio con il divieto Fifa alle riprese delle tifose sugli spalti troppo scollate. La Rai alla fine ha raggiunto il monopolio del sotto il reggiseno molto, mentre le veline si dovevano coprire. Tutto però è stato inutile. Alla Rai credevano che ciò che è rilevante, cioè tutto ciò di cui la Tivu di stato si occupa, doveva rimanere per sempre pubblico, magari governato da un Gosplan. Credevano all’importanza delle dinastie Gattopardo Style, da rinnovare con le nuove famiglie di politici, di giornalisti, di martiri benemeriti, camarille regionali, parenti di giudici ammazzati, buoni imprenditori separati dai cattivi, come il grano dall’oglio, secondo criteri misteriosi omogenei al sangue di san Gennaro. Credevano soprattutto alla grande guerra, contro l’impunita intenzione dell’alternativa privata al telegiornale di Stato lottizzato; per tanti decenni, hanno continuato la grande guerra, come il giapponese nascosto nei boschi vent’anni dopo la resa. Qualcuno con fede somma, a questa lotta si è aggrappato mentre crollavano tutti gli altri assiomi rivoluzionari garantiti. Tanti altri sherpa, perso il loro sultano, khan, presidente, si tenevano dietro il carro dell’ultimo e unico vincitore. Gli occhi del raiismo rivolti all’indentro; vedevano la vittoria di quelli di Rai3 che invece perdeva nel paese. Il Paese ha cominciato a prendere la Rai sottogamba mentre veniva superata da Mediaset, poi da Sky; mentre era fuori da ogni gioco importante, mentre Mediaset rischiava di finire sotto Canal+, e per non finirci si dava a Murdoch. Cose da adulti, da monopoli privati mondiali, per la piccola Rai piena di soldi, di dipendenti e di commesse date fuori; ma lei deve preoccuparsi dell’ultimo cerchio, all’interno dei tanti solchi del suoi alberi centrali e regionali. La morfologia del tronco Rai dal midollo alla corteccia è un volo sulla storia d’Italia, nulla vi è stato mai buttato. Il midollo è ancora d’ascendenza fascio monarchico ma solo per quache ottantenne, l’ultimo cerchio fresco fresco è renziano, in mezzo fanfaniani e berlingueriani, andreottiani e gronchiani, dameliani e malagodiani, malfattiani e scalfarottini, scalfariani e minoliani, vespiani, saviani e baudiani, iottiani e guzzantiani, di padre, di figlio, di sorella, etc. Di Maio si rivolge a loro chiamandoli raccomandati, e non capisce che tengono insieme la storia delle famiglie d’Italia che vivono tutte ipnoticamente ferme al loro momento d’oro, di quattro, tre, due, un decennio fa. Non capisce quanto abbiano sofferto e soffrano esposti alla tirannide dei nuovi raccomandati mossi dal’odio di partito o di famiglia. Senza legge del merito né della concorrenza ed in crosta di progressismo umanitario, la tortura psicologica e la violenza della sopraffazione non hanno limiti. Anche perché sofferenti e sopraffattori hanno in comune il senso della storia dell’obbligatorietà delle loro posizioni. Ora deve essere nominato il nuovo cda della Rai. L’opposizione la farà solo il settimo membro eletto dai dipendenti Rai, cioè da Giulietti e sarà isolatissimo. I pentastellati sono quasi convinti che la Rai non si piegherà alle loro idee; i leghisti non hanno nemmeno voglia di provarci. Insieme devono nominare ben 6 membri accanto alla nomina del presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza Rai che sarà Gasparri, figura che non è stata presa in giro, satireggiata o sfottuta in Rai, ma descritta puntigliosamente come l’uomo di Neanderthal burino, l’odiato inventore del digitale terrestre. Nemico il presidente di commissione, nemico il direttore generale, nemici i direttori di rete che potrebbero essere Travaglio e Sangiuliano o Porro mentre Freccero aspetta nei talk una chiamata al ministero Quando era l’Elevato, Grillo disse “Rai, due a vendere una senza Pubblicità”. Come dire, farne un altro Istituto Luce. La Lega la venderebbe tutta. Come il Paese, non capisce ormai cosa serva una Tivu di Stato che non si tiene nemmeno il calcio, e che propone caricature sinistre di Sordi, Vitti, Cervi, Baudo e Corrado. Conti lascia, Giletti è andato, Fazio è morto, il re dei cinepanettoni non c’è più. Il colmo è che quest’anno la Rai è finita in positivo di 14 milioni poiché ha perso il mondiale. Dunque meno fa meglio è. Rai di tutto, di meno, o addrittura di niente. A fronte delle perdite previste per quest’anno di 100 milioni, la Rai punta tutto sul nuovo contratto di servizio che vorrebbe esteso al mondo digitale. Potrebbe essere invece messo a gara a bando europeo. Rai contro rivisitazione europea dell’immigrazione. Toccherebbe al Neanderthal burino difendere l’esistenza stessa dei suoi detrattori, proprio come a Tajani tocca difendere la Mogherini.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.