L’Europa è in balia di una Banca Centrale Europea con uno statuto da incubo. C’è, infatti, una grossa differenza tra la Banca Centrale Europea e altre grandi banche centrali, come la Federal Reserve americana: lo statuto della Bce, infatti, prevede che l’Istituto centrale abbia come unico obiettivo la stabilità dei prezzi (che è una fissazione dei tedeschi). La Fed, invece, prevede – correttamente –, come secondo obiettivo il mantenimento di un livello occupazionale adeguato.
Questo “buco” nello statuto della Banca è uno dei tanti motivi che, nel 1992, aveva fatto “tremare la mano” all’allora ministro del Tesoro Carli. Quest’ultimo firmò il trattato di Maastricht con cui l’Italia si avviò ad entrare in Europa: a distanza di anni, ricordando quel momento, Carli raccontò che – firmando – era ben consapevole del fatto che l’Italia non all’ingresso in Europa. Sperava, disse, che lo sarebbe diventata attraverso il processo di integrazione che si sarebbe svolto negli anni successivi. Non solo l’Italia non è mai “diventata pronta”: i meccanismi in cui il Paese è stato inserito funzionano solo per il “blocco” centrale dell’Europa, in primo luogo per la Germania, preoccupata solo di avere inflazione ridotta per poter esportare a spron battuto.
Il ministro Savona già alcune settimane fa ha cercato di aprire una discussione sul ruolo della Bce, che, al momento, risulta incompatibile con i valori della nostra costituzione. Perché se la Banca Centrale per mantenere la stabilità dei prezzi avesse teoricamente bisogno di una disoccupazione al 10 oppure al 20 per centro, questi livelli sarebbero assolutamente compatibili con il proprio statuto, mentre sarebbero considerati moralmente inaccettabili dalla nostra Carta, che mette al centro non solo il diritto al lavoro, ma anche a una retribuzione adeguata.
L’Italia oggi si trova, insomma, inserita in quadro economico, ma anche normativo, che la vede priva di una moneta sovrana e nel quale la disoccupazione e la precarietà – da male da combattere – si potrebbero addirittura trasformare, al limite, in paradossali strumenti di politica economica. È veramente questo il sogno europeo che abbiamo costruito? Sembra più un brutto incubo.
Ernesto Preatoni
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