Il dramma del decreto Di Maio

Attualità

L’hanno chiamato Decreto Dignità perché la Neolingua esiste e ci impone di avere un distorto senso dell’umorismo. Un senso dell’umorismo che ci costringe a ridere in faccia alle persone in fila, in silenzio, gli occhi gonfi di pianto, fuori dall’Ufficio Risorse umane. Sono racconti di prima mano, che vengono da una grande azienda. Padri e madri di famiglia, ad un solo rinnovo dalla stabilizzazione, che non vedranno mai il posto fisso. Il rinnovo, infatti, sarebbe un disastro. Grazie, Di Maio. Grazie. Ma entriamo nel dettaglio. Cosa rende disastroso il decreto?

Partiamo dal principio. Secondo i Grillini la Politica deve creare i posti di lavoro. Solo che, mentre tutti gli altri partiti sanno che questa espressione è metaforica (la politica deve aiutare la creazione di posti di lavoro), loro ci credono davvero. E, come nella lotta contro la scienza sui vaccini, anche questa è destinata ad essere un disastro. Se tu intervieni in un mercato che a Giugno ha visto il picco più alto di contratti a termine, rendendoli difficili da rinnovare, l’unica cosa che produrrai è più disoccupazione. È lineare, matematico. In particolare grazie a tre drammatici errori commessi nel decreto stesso.

Primo, lo strumento del decreto legge. Il decreto legge è pensato per agire in emergenza: si ripara la falla, poi si lascia al Parlamento un periodo di due mesi per gestire il rattoppo. Quindi: prima la norma, poi gli eventuali miglioramenti. Dopo due mesi. Quindi, da Luglio ad oggi, ad essere applicata è la norma originale. Senza correzioni. Ed è stata un disastro. Perché nessuno aveva idea di quale sarebbe stata la forma definitiva. Quindi si è applicato lo scenario peggiore possibile: zero rinnovi oltre l’anno. Buone vacanze a tutte. Usatele per trovare un lavoro ed una risposta alla domanda più importante: come ha fatto Di Maio ad arrivare in quel ministero?

Secondo problema, le causali: devono cambiare ad ogni rinnovo. Quindi, se io voglio provarti per 18 mesi, non posso. Se io voglio spostarti di un ufficio più in là, non posso. Se voglio tenerti a tutti i costi, per provarti, non posso. Posso solo licenziarti o prenderti a tempo indeterminato. Ma la congiuntura economica, fragilissima ed a forte rischio grazie ai Cinque Stelle, non autorizza l’ottimismo di una espansione di organico. Potete crederci, non crederci, dare la colpa agli industriali, ai rettiliani o alle scie chimiche. Ma è così: la gente resta a casa. E sapendo le rogne di una ulteriore assunzione, è improbabile che mi ci imbarchi magari compro una macchina, un software, esternalizzo il lavoro o me ne vado dal paese. Tutte cose bellissime, e l’esatto contrario di quello che Di Maio voleva.

In ultimo, sgravi e aggravi. Sono prorogati quelli contributivi a vantaggio dei giovani. A vantaggio solo dei giovani con stipendi bassi, visto che, in un anno, non possono superare i 6000 euro all’anno, e ne vengono scontati la metà. Quindi, vuoto per pieno, per i lavori con 13 mensilità parliamo di qualcosa meno dello stipendio medio Italiano, che è di 1350 medi. Il che significa che a nessuno che assuma grazie agli incentivi verrà mai in mente di pagare la gente di più, rispetto alla media. Inoltre a 35 anni finisce la magia, e con essa i lavori. In compenso, qualora uno volesse restare nel mondo del lavoro anche da precario, per ogni rinnovo del contratto scattano degli aumenti contributivi.

In sostanza, quello Di Maio è un decreto disoccupazione, in preparazione al reddito di cittadinanza. Pagato da chi è ancora da determinare, ma ho il terrore che a breve lo scopriremo.

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