Il canto della schiera di Luigi

Attualità

Il  primo colpo Luigi lo tirò al fegato e Benetton si piegò. Il secondo ai fianco ed il terzo ai genitali e Benetton urlò.

Poi ancora pugni e cazzotti sulla nuca sui bei capelli lunghi biondi raffelliti lui che aveva in testa pochi peli ritti d’istrice. Colpiva e piangeva, colpiva e piangeva, distruggeva la mandibola già grumo di sangue e carne purulenta che lasciava cadere grossi tocchi di lacrime e occhiali e carne biancastra.

E quello –la commissione – gli interventi – la manutenzione- le nostre responsabilità adempiute– saltò la mandibola mentre tragghecciava, Luigi che non vedeva che non sentiva che solo piangeva la carne sfracellata di un figlio, sulla punta dello scarpone sentì che si sfaceva la faccia della giustificazione, la feccia documentale, la fossa degli aumenti ai caselli senza caselli.

Come solo aria di turbina o di tsunami, le sue mani larghe e dure e callose sciaffeggiavano e rompevano capillari e vene flebitiche e arterie gottose ai volti ed agli arti dei democristiani che ai grandi rentiers avevano affidato vita e velocità e cuore

 – ce lo dissero i magistrati

 ai musi animali dei magistrati inveleniti e statalisti

– ce lo dissero i comunisti-

agli animali mostri comunisti traditori di sé del proprio genere animale e umano

– ce lo dissero gli americani. 

E Luigi senza speranza, che il figlio tornasse, bianco in volto, cieco e bianco sulla palpebra, sanguinante i palmi per le percosse a mandibole ossute, ventri pieni, genitali obesi, fianchi avvezzi alle agiate mollezze, strascinava uno ad uno quei benetton fin sul cipiglio del ponte

–risarcimenti, ricostruiremo, aiuteremo, abbasseremo i pedaggi- 

e li lasciava cadere, come sacchi pieni di gatti che fino all’ultimo si agitano e si piegano e strillano e si incurvano. Ed era poi il turno dei cachi prodi, dei prodi massimi, dei perbene e persani. E mentre cadevano , mentre i calcestruzzi puntuti ne infilzavano carne ed arterie, schizzando il sangue in ogni dove, urlavano la propria autocritica, come cani servi e spie del nemico controrivoluzionari di destra e sinistra.

Nulla capitecaputi– sussurrava Luigi facendo cadere massi su ognuno di loro esplodendo bile e pus dalle teste tanto sanguinolente da essere più sincere di quelle vive. All’ultimo Benetton che farfugliava

 – è vero al 5% semestrale abbiamo fatto il 1054% dei ricavi sulla manuntenzione programmata-

 cucì le dita alle spalle perché tornasse da Calligaris alla sua natura da magliaro. E lì lo lasciò, su uno scoglio d’erba, davanti al ponte divelto, zoppo, orbo, monco, invalido per ricordare la morte 40 volte mietuta.

Poi Luigi distrutto, affaticato, cieco di lacrime, sanguinante in ogni parte raggiunse il figlio lungo quello spezzone di ponte, passo dopo passo, incredulo, insoddisfatto e pentito della giustizia resa, per sua natura incompleta. Figlio morto a Genova, con lui quasi il padre.

Restavano calabresi.

Prima del passo fatale, fucile e aspromonte, comandati dai fondi, lo riportarono, secco, alla arida realtà.

Vendicatrice la pietà baciava il mansueto Luigi e piangente tirava in crudeli corde il seguito dei tanti colpevoli, arroganti incontentebili, incontenti, incontinenti ghignanti beluino livore.

Luigi furioso hai avuto giustizia. Sai però che nessuna giustizia passa impunita.

Figlio e Luigi spappolati, tra tendini scoperti e foglie di carne, sereni sorrisero.

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