Non gioca più, Mina. Da quarant’anni vanno in scena la sua voce e la sua anima Nel lontano agosto 1978 cantò con il pubblico, dopo vent’anni di carriera, alla Bussola, in Versilia: un ritorno al passato, alla prima volta. E non era casuale. L’intromissione esasperata dei fans, la volontà di rubarle i pensieri, la paura, erano stati decisivi. Una vita vissuta con la consapevolezza di una libertà di scelta che allora non si piegava al bigottismo e alla convenzione, ma gridava l’indipendenza, l’autodeterminazione. Per questo c’era un’immedesimazione istintiva, una nuova forza. Esagerata? Forse, ma rappresentava l’icona in cui riconoscersi. E quella voce che mangiava anima e desideri, che aveva la leggerezza e la profondità dell’abisso, che immortalava anche i sogni più banali. La duttilità senza tempo e senza spazio, la professionalità senza misure, il sussurro o l’acuto imperioso di un’emozione.
Lugano, il rifugio dove crescere i figli, dove vivere la maturità, dopo essere stata regina del palcoscenico. Ma la voce, quella voce, testimonia ancora le inquietudini pacificate, la normalità del quotidiano, la grandezza di un’interprete che non gioca più in pubblico, ma sa ancora vedere il cielo nella sua stanza.
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano