Analisi in “rosso” sulla gestione dei Beni Culturali. La situazione attuale dei Musei in Italia

Cultura e spettacolo

L’estetica può aiutare a comprendere i tempi. Ad esempio, a proposito del pittore Édouard Manet (1832 Parigi 1883), qualcuno disse che egli aveva un’interiore compulsione a creare. Ciò si può dire per tutti gli Artisti. Oggi, invece, molti di coloro che pretendono di esserlo ma che in realtà non lo sono hanno un’interiore compulsione a provocare. Significa che il disordine del nostro mondo si ripercuote nell’estetica riflettendosi in quello che viene considerato arte. In Italia, ad esempio, si fatica a valorizzare l’immenso patrimonio dei beni culturali proprio in un’epoca in cui l’arte e i suoi criteri di valutazione sembrano essere spariti. Eppure, c’è chi pensa che il motivo di questa difficoltà dipenda dal fatto che abbiamo un patrimonio “troppo” esteso.

Il problema forse però è nella gestione di questa immensa “ricchezza”. I circa 3.000 musei gestiti dalla pubblica amministrazione, alcuni dei quali chiusi al pubblico ma con il personale pagato e lì parcheggiato, quando non sono in perdita, a fatica raggiungono il pareggio di bilancio. In particolare, solo lo stipendio di più di 15.000 dipendenti del Ministero per i Beni culturali (MiBAC) si aggira intorno ai 400 milioni di euro e in certi casi il disavanzo è di qualche milione di euro a museo.

Tanto è vero che si lamentano carenze nella gestione dei musei. Durante l’inaugurazione della Grandi Gallerie di Venezia, il 18 dicembre 2013, la Soprintendente Giovanna Damiani ha ricordato al ministro Bray il disagio in cui versano le casse della Soprintendenza ironizzando sul “dolore al polso” in seguito alle richieste di aiuto al MiBAC. “Lei si rende conto che non abbiamo le risorse né il personale per aprire questo museo?”. Bray ha comunicato una possibile apertura agli investitori privati. È stato suggerito addirittura un prestito dei nostri beni culturali. “Tra i progetti in pista” spiega Anna Maria Buzzi, direttore generale per la valorizzazione del MiBAC, “l’accordo che l’Italia ha firmato con gli Emirati Arabi: dare in prestito a rotazione beni archeologici e artistici dei depositi” (Il Giornale dell’Arte, maggio 2013). Come se in Italia mancassero competenze e potenziali finanziatori per dei beni originati da noi stessi.

Molti funzionari e professionisti, considerati “esterni” quando non dipendono dalla pubblica amministrazione, sarebbero più che in grado con la loro esperienza di dare vita a un sistema diverso rispetto all’attuale. Purtroppo, non è consentito loro né ad altri limitare lentezze e mancanze di un immenso apparato burocratico che appesantisce l’attività di valorizzazione dei beni culturali. In altre parole, l’imprenditorialità è vista come un qualcosa di negativo.

Ma il problema, ancora attuale nonostante le riforme recenti, non riguarda solo l’apparato pubblico. Da una parte, mentre le spese generali del MiBAC ammontano a circa 3 miliardi di euro l’anno con un deficit insanabile, i collezionisti italiani temono con ragione, ad esempio, un’ingerenza nelle loro attività commerciali, il cosiddetto “embargo all’esportazione”. “Il bene, da quando è notificato, entra nel buco nero dei procedimenti amministrativi e può essere, secondo le norme vigenti, sottratto alla loro libertà negoziale per un tempo indefinito” (dal sito Collezione da Tiffany). Dall’altra, “c’è una difficoltà culturale da parte degli imprenditori, come dice Fabiano Schivardi, a uscire dalla dimensione familiare, ad aprirsi ai capitali esterni e ai manager, che offrono le risorse e le competenze per fare il salto di qualità, perché prevale la paura di perdere il controllo e la gestione dell’impresa” (Luciano Capone).

Il settore dei beni culturali potrebbe dare lavoro a molti. Se, come si è visto, il controllo dello Stato non crea profitto, la soluzione è adottare un diverso sistema come quello che vige negli USA, perché no, privato, sanamente competitivo, dinamico ed elastico, evitando le bolle speculative e i clientelismi che, negli ultimi anni, hanno guastato anche il mercato dei paesi anglosassoni. Una volta avviata la strategia, quindi, bisogna saper amministrare bene, anche in momenti di crescita economica. In Italia non mancano né le capacità economiche, né le competenze, né i beni culturali. Basterebbe solo consentire di metterli a frutto.

Flavia Massarini Ghislieri

Dottoressa in Conservazione dei Beni Culturali

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