La giustizia ha fatto un accordo estremamente magnanimo con la Lega. Ha fissato il principio della sua colpa collettiva (truffa per quasi 50 milioni), ancora prima che questa venisse determinata definitivamente a titolo personale. Per altro verso ha rinunciato all’effettivo incasso, rinviato a babbo morto, alle rate di 81 anni, durante i quali i nipotini di Salvini faranno in tempo a rimpatriare l’ultimo dei 600mila clandestini. La magnanimità questa volta è stata un momento di oscillante debolezza togata. Che non c’era stata per fare fuori tutta la sinistra sindacale ed extraparlamentare scatenata nella spallata comunista degli anni ’70. Che non c’era stata per fare fuori tutti i partiti atlantici, gli enti e le associazioni che erano stati legame e supporto civili alla presenza militare americana durante la guerra fredda. Che non c’era stata per portare alla sbarra i resti dei clericali e dei comitati civici. Che non c’era stata per fare fuori il nuovo Mattei, il kingpin, fulcro pubblico-privato di un variegato e variopinto melting pot di destre, centrismi, indipendentismi e sinistre sopravvissute camaleonticamente alla prima mattanza. L’atto magnanimo era doveroso, perché non voluto. Era conseguenza di una delle tante azioni cauterizzanti che aveva colpito la vecchia Lega, quella condannata per aver detto terrone ad un Presidente, quella del Bossi, alleato di Berlusconi. Non aveva senso che finisse per colpire la nuova Lega proprio mentre questa evaporava nel niente il kingpin di Arcore. Resta da valutare il senso di un percorso che va dal teorema 7 aprile a Mani Pulite, al processo Andreotti fino alle innumerevoli inchieste Berlusconi. Non c’è dubbio che questo percorso tortuoso ed accidentato abbia portato allo strano mondo verdeoro brasileiro che recita l’Ordem alla leghista ed il Progresso pentastellato. Una fazenda made in giustizia, che non ha mai avuto timore del sostegno popolare. Nel ’92 mentre erano evidenti i preparativi di Mani Pulite, i partiti atlantici avevano un consenso ancora maggiore dei pentaleghisti; Andreotti fino all’ultimo manteneva il suo ampio elettorato; Berlusconi, lo deteneva milionario, al momento della caduta. Non il voto popolare impedisce ai togati di proseguire con la ruspa. Se ci si pensa, la ruspa bendata avrebbe potuto smantellare ab initio l’orda grillina, per l’intimidazione di massa contro le donne, contro la stampa, contro le sante istituzioni, ben fissata in un piano macabro di rinascita democratica, d’impronta esoterica e massonica, con legami con il mondo manageriale ed illuminato. Migliaia di occasioni, di contatti, di minacce, da far impallidire quelle evocate dalla Boldrini, o da ridimensionare famose testate, furono lasciate correre quando bastavano le solite denunce, gli allarmi all’eversione, i facili teoremi di un nuovo 7 aprile. E invece neanche un dito si è alzato mentre l’acqua dei pesci del Vaffa, riedizione de Né con lo stato né con il terrorismo viveva una nuova stagione d’impunità. E’ vero che in una prima fase era esiziale alla santa alleanza contro Berlusconi, ma dal 2011 era divenuta una variabile impazzita antistituzionale. Certo, leghisti e pentastellati sono primi sostenitori della giustizia Law and Order, ma non della giustizia materiale, quale quella italiana sfuggita al senso di una qualunque Costituzione. Croce e delizia della repubblica, la giustizia è femmina, divina e bendata per dare il segno di una volontà che non guarda in faccia a nessuno. In realtà è proprio femmina, pettegola, curiosa e guarda, sì che guarda in faccia a ciascuno, di sotto e di sopra e per lungo tempo. Figlia maggiore della Costituzione, come l’autonomismo siciliano, la giustizia repubblicana esordì con le guarentigie del re di maggio, che voleva così smarcarsi dagli ex tribunali fascisti (e forse dai futuri tribunali comunisti), quando la giustizia fascista, esercitata poche volte, soprattutto all’inizio ed alla fine, era un alias rispetto alla carriera togata. Un repubblicano, Conti, un laico che aveva sofferto sul serio la repressione del regime, immolò tutto il suo martirio personale durante l’assemblea costituente ed i suoi colleghi laici che durante il ventennio erano stati stimati tecnici apicali, non se la sentirono di toccare le guarentigie dei togati. Nasceva un potere assolutamente indipendente, svincolato dal popolo e dalla democrazia, intoccabile come il Presidente, come un monarca. Quello che appariva un unicum, anche in Occidente piacque agli inglesi che avevano tanto sperato nell’istituto monarchico, proprio per guarentigia dall’instabilità delle demagogie popolari e dall’unica monarchia rimasta sulla scena, quella papalina, anacronismo vivente contrario anche alla Rivoluzione Industriale. La natura dei togati, nati dal modello napoleonico, massone e francese, era di inchinarsi, sotto guinzaglio politico, all’interesse di Stato, chinarsi alle armi che conquistano, alle aste che vendono il maltolto ed ai valori seguenti delle Borse (leggasi il Conte di Montecristo); non quelle di incriminare armi, aste e azioni. La Costituzione, fatta per interdire ogni potere con l’altro, è il terreno invece dove la magistratura è passata con la ruspa, politicamente dovunque e comunque ( tranne che nel suo campo d’azione precipuo). Sorprendentemente è ora in stand by di fronte alle strane intenzioni dei partiti suoi fan. Ed anche i giornali che ne hanno dettato e seguito l’azione sono in pausa o inefficaci. Hai voglia di vedere L’Espresso preparare gli incartamenti per la messa a giudizio ma la mano della giustizia resta immobile. Da sotto la benda, la pettegola giustizia si è accorta che i tempi sono cambiati. I suoi fan dell’Ordem e Progresso legastellato sono tanto simpatici ai leader degli americani e dei russi. Il percorso della giustizia è tortuoso e accidentato ma sempre rispettoso dei ritmi e dei tempi dei vincitori, dalle fasi della guerra fredda al Mondo Unico, alla nuova cold war multipolare. Di questo passo la giustizia rischia di farsi mettere collare e guinzaglio dalla politica e tornare un mondo di togati normali, come da Statuto. Altro che la divisione delle carriere.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.