Ci si imbatte sempre in Pier Paolo Pasolini. Novelle, sceneggiature, filologie, saggi, film, romanzi, pitture, documentari, teatro, passaggi d’autore e da attore, voce fuori campo, giornalismo politico ed investigativo e poesie, poesie, poesie. 53 anni di produzione incessante, tra retorica, ideologia e mistica nella vita come nella cultura. Piaccia o non piaccia, il secondo Novecento culturale italiano ha in lui il suo epigone, come l’aveva avuto il primo, in D’Annunzio e Pirandello che di Pasolini avrebbe potuto dire incontrerai moltissime maschere e pochissimi volti. Il must PPPP magari può anche portare ad un giudizio devastante sulla prima Italia repubblicana, le cui idiosincrasie ben sono rappresentate da una voce improntata a trovare successo, nella caduta, nel degrado, nella morte. Il volume Pasolini borghese di Gianfranco Tomei, professore di Psicologia e di Comunicazione, uscito per i tipi della Nuova Cultura, mostra tutti i PPP che dovevano essere, che volevano essere, che avrebbero potuto essere in un racconto snello e leggibilissimo, assai utile a chi voglia studiare il poeta friulano. Nel volume è evidente l’attitudine da maestro di PPP per la formazione letteraria, culturale, estetica, politica, sociale o formativo, un ruolo che fin dalla gioventù gli venne riconosciuto. Formazione di cui l’autore si sente debitore e che ci offre come una fonte di conoscenza. Dunque Pasolini è un must, è il francobollo nel 2015, una commemorazione infinita che da oggi ci condurrà al 2022, centenario della nascita. Aveva 7 mesi quando si tenne la Marcia su Roma. Di nascita, figlio di un militare, fascista, in galera per debiti, prigioniero in Africa Orientale degli inglesi e di un’insegnante che asseconderà tutti i vezzi ed i vizi del figlio, era sicuramente borghese. E borghesissimo, come capita alle famiglie di manager pubblici e privati, è l’estraniamento dal territorio; prima dell’approdo a Roma nel ’50 PPP gira a Bologna, a Parma, a Conegliano, a Belluno, a Casarsa della Delizia, a Sacile, Valvasone, Santa Sabina, a Ramuscello, a Idria, a Cremona, a Scandiano, a Reggio Emilia, a Porretta Terme. 40 anni fa l’interrogativo se PPP fosse un compagno o borghese, era un tipico tormentone da assemblee studentesche e cineforum. Allora però borghese voleva dire semplicemente fascista, anche se la cosa non veniva accettata a droite. E comunque il magazine fascista per antonomasia, fondato da Longanesi nel ‘50, uno dei pochissimi intellettuali che non aveva cambiato opinioni e posizioni, si chiamava proprio Il Borghese. A marchiare PPP come borghese ci pensa per prima L’Unità in occasione della sua espulsione dal PCI decisa dalla federazione di Pordenone il 26 ottobre ’49 per indegnità morale. Pasolini che a sua discolpa citava letture di Gide ed altri, veniva preso in castagna, accomunato al Nobel francese, ed anche a Sartre, tutti letterati dalle deleterie influenze borghesi. Poi ad assolverlo come tornato borghese sono gli anni ’90, quando il riff intellettuale si pregia di svelare l’abiura dello scrittore friulano non più antiborghese, come gli diceva sempre la sua eterna corteggiatrice Dacia Maraini (Aveva fatto in tempo a ricredersi…sottoproletariato puro, che invece era sempre stato piccola borghesia atroce e violenta). Infine la grande piena degli ultimi decenni ha messo a posto l’incongruenza dei santi di ieri che odiavano le buone cose d’oggi: sturando Di Vittorio ed i Gramsci come sozialdemokrat, anzi no, liberali e regalandoci un Pasolini a la carte, di sinistra, di destra, cattolico, demoniaco, serafino, calciatore, abatino, karate Kid.
Anche da questo punto di vista, PPP fu borghese in quanto conformista, come gran parte del club dorato cui si accompagnò e che tanto desiderava di frequentare, di cui seguì spostamenti ed ammiccamenti (Arcangeli, Bertolucci, Bolognini, Callas, Contini, De Sica, Eco-robot, Oriana Fallaci, Francesco Ferreri, Fellini, Gadda, Gatto, Longhi, Magnani, Dacia Maraini, Elsa Morante, Moravia, Musatti, Roversi, Soldati, Rossellini sn e jr, Totò, Volponi, Zavattini e tanti altri, praticamente tutti). Un conformista, sempre in movimento, capace di intuire sempre l’aria che tira. Prima, i Littorali della Cultura, i GUF, le riviste fasciste, i viaggi ed i libri di lode nella e della Germania nazista; quindi l’attesa apatica durante l’attesa della fine della guerra, anche di fronte alle foibe; poi di corsa, l’iscrizione e la segreteria Pci, la cacciata ben diversa da quella di Calvino del ‘57 e comunque il fiancheggiamento dichiarato anche successivo seppure, non benvoluto, l’ode ai maestri gobbi sacri dell’antifascismo, la definizione di marxista, che per Asor Rosa era curiosa ed artefatta, offertagli dall’Oriana; mentre non manca nemmeno la captatio benevolentiae carpita agli ecclesiastici da L'usignolo della Chiesa Cattolica al Vangelo; alla fine il suo modo di associarsi al ’68 ed al clima tempestoso degli anni a venire, sono l’occupazione del Lido di Venezia, la consacrazione del fanatismo di parte da stadio con la condanna per il Male assoluto, Salò, e l’omaggio caricaturale al Bene utopico antifascista.
Pian piano, poi sempre di più anticiperà il ’77, facendo le pulci alla sinistra da sinistra, come i Buffarì ed i Negri che attaccavano la Bologna del Pci ed il Lama sindacale. E giù, la difesa dei poliziotti, figli del popolo, vs gli studenti, giù di omaggi agli accattoni ai delinquenti e a chi purtava i scarp del tennis vs gli operai ordinati per dovere; giù di omaggi al terzomondismo ed ai neri di Guinea, per eccesso di sinistra, per toccare le punte dell’anticapitalismo, dell’antimodernismo, dello sviluppo mercantilista, fino a toccare l’opposto di una tradizione elementare, primitiva, reazionaria partita con le georgiche friulane e finite con le bucoliche africane. Di nuovo il Pasolini comunista trasluccica con il Pasolini reazionario, altra forma di borghese. Magnifica la difesa di Medea nello scontro tra il regista e gli studenti di estrema sinistra, a margine della proiezione del film. PPP si arrampica sugli specchi per difendere la proletarietà della Callas, una che di norma pretendeva l’inchino con tanto di crediti formativi. E la buttava in un atavico terzomondismo come se il mito antico corrispondesse alla debolezza dei colonizzati. L’ultimo capitolo è quello del giornalista investigativo antelitteram che si inserisce nella strategia del grande sospetto, inaugurata da Berlinguer dopo il colpo di stato cileno, quando il Pci abbandonò la lotta di classe per ergersi a partito democratico, unico tra tutti gli altri delinquenti. PPP sapeva quello che scriveva gran parte della stampa, che i brutti, sporchi e cattivi Dc, eletti da un subpopolo di brutti, sporchi e cattivi erano feccia umana e si lancia, uomo di scandalo, nello scandalo di Petrolio, che per forza di cose è un insieme di frammenti, come scrive Tomei un working progress; opera incompiuta o anche solo annunciata, come tante altre che stranamente spariscono, mancate riviste, mancati film, mancati libri: Eredi, Il Setaccio, lo Stroligùt di càda l’aga, la tesi sulla pittura italiana contemporanea,l’autobiografia, la neo Comedia, il Porno kolossal. Annunciati come promesse o minacce, temuti racconti e giudizi sui personaggi noti della contemporaneità che inchiodano il Nostro al ruolo ingrato di inquisitore come già avvenne a Zola e che forse anticipavano la discesa in campo. Se non fosse stato ucciso, chissà quali prospettive di inibizione conformista avrebbe toccato, probabilmente facendosi epigone dei diritti libertari dei diversi, dei gay, dei LGBT, nel momento storico in cui liberalismo, politically correct e progressismo avrebbero dato agio alle sue questione personali di omosessuale e pedofilo di diventare bandiera politica, magari fino a farne un leader del Pd o di altri, come e meglio di Rodotà. Un Pasolini globalista in nome del diritto vendoliano alla pedofilia ed alla lotta al riscaldamento globale. Magari sventolando i famosi Quaderni rossi, già detti Pagine involontarie. La cosa poi è stata confermata dalla scuola di partito Pd a lui dedicata pur tra le polemiche. Potrebbe però, se vivo, trasformarsi anche in leghista. PPP era un saldo settentrionale che prende sul serio solo i contadini friulani. Il sogno di una cosa, primo romanzo uscito solo nel ’62) ma che scrive di Roma, città coloniale. Sapeva tanto bene affondare il coltello nel neorealismo perché più che vederci il dramma sociale, si eccitava davanti allo spettacolo degli untermensch. Descrive così nel ‘57, Cutro (Catanzaro) tra dune gialle, il paese dei banditi, da western, le donne dei banditi, i figli dei banditi. fuori dalla legge, del nostro mondo, a un altro livello. Nei giovani atroce lavoro, troppa libertà, pazzia. (Davanti alla querela del sindaco fantozziano il tribunale di Milano sentenzierà: è tutto vero). Il borghese indagato. Siamo abituati da vent’anni a considerare pessime le persone indagate e processate; forse solo da pochi giorni i progressisti si stanno ricredendo. Negli anni di PPP le persone indagate erano per bene, perché la giustizia, i carabinieri, i giudici erano la fisicizzazione della repressione. Così qui a Roma, a scuola agli stranieri che studiano l’italiano, viene trasmessa, come materia di studio, la persecuzione delle aule di tribunale subita da Pasolini in ben 33 processi. In verità le vere accuse politiche sono poche, inefficaci, più medaglie e gloriose al merito dall’Occupy ’68 della Mostra di Venezia con Zavattini, Massobrio, Ferreri, Angeli, Maselli e De Luigi, già allora, non era reato. E l’accusa di essere un cattivo maestro del terrorismo, cioè la direzione per un mese nel ’71 del periodico comunista di Sofri Lotta Continua, in appello finisce a babbo morto. Tutte medaglie, che accomunano Pasolini agli Ottone dell’epoca. Poi c’è la censura cinematografica per vent’anni rappresentazione dell’Italia sbagliata, beghina, bigotta, stupida, arretrata, quella che votava DC contro quella giusta, quella di Pasolini, sempre sotto la spada di Damocle dell’oscenità e offesa al pudore. Si salvano solo Il Vangelo secondo Matteo Uccellacci e uccellini ,
l'Edipo re e Medea. Tocca risarcire per L’Accattone per cui; il Mamma Roma in transito dalla XXIII Mostra di Venezia al tribunale; La ricotta tagliata per vilipendio alla religione; denunciati Teorema e Porcile, Il Decameron addirittura sommerso da 12 denunce, da Benevento, a Mantova, Viterbo, Frosinone, Venezia, Latina, da ogni angolo del Paese; incriminato I racconti di Canterbury per vincere a Berlino ed Il fiore delle Mille e una notte denunciato ancor prima di andare in sala, poi vincitore a Cannes; fino all’invocata radiazione e la sforbiciata di cinque minuti del Salò o le 120 giornate di Sodoma. Il Pasolini giudicato è un gran borghese che trova fiori fuori da ogni aula.
La grandezza letteraria di PPP lo mette al riparo da letture disincantate. Su di lui continua l’agiografia della biografia che gli tributò Enzo Siciliano nella Vita di Pasolini del ’78. Eppure il Maestro è borghese, per ipocrisia e opportunismo, perché non è una persona per bene. A destra hanno provato a farne un altro arcitaliano per passione nazionale. I Littorali, li fa come oggi si fa lo Strega, addirittura denunciando il camerata per tiepidezza di mistica, mandandolo in galera. Il saggio Cultura italiana e cultura europea a Weimar, senza che vi sia – è il ’43- accenno alla questione ebraica, è tutta ammirazione per la Germania nazista, dopo un viaggio organizzato dai Guf. Nel dopoguerra però il nazionalismo si trasforma nell’indipendentismo regionale del Patrie tal Friul, con contatti con i catalani come Cardó; con il lavoro all’Academiuta di lenga furlana vince un premio nel ’47 e scrive Cjants di un muàrt che uscirà nel ’54 come La meglio gioventù. Una prima edizione lo fa consacrare poeta a 20 anni dal Contini. Sarà che quest’ultimo era stato nella Repubblica d’Ossola, che nel ’47 PPP è ancora illuminato sulla via di Damasco; scrive solo il comunismo è in grado di offrire una nuova cultura vera ed in quell’anno è segretario della sezione PCI di San Giovanni di Casarsa, occupandosi di affiggere i suoi manifesti politici giovanili sulla locale loggia.Va anche allo stalinista Congresso mondiale della pace del ‘49 a Parigi. E’ uno slalom stretto di grande senso di opportunità storica, politica e personale; arcitaliano, arcifriuliano, arcistalinista, con una nota molto stonata per l’ultima scelta, perché la famiglia Pasolini il 2 maggio 1945 aveva subito un lutto eclatante, l’infoibamento del Porzus, nella Carnia di partigiani bianchi della Brigata Osoppo, tra cui il 19enne fratello Guidalberto, per mano dei partigiani comunisti, anzi trucidato per ordine dell’Internazionale comunista come venne scritto sui muri di Roma il 25 aprile ’61. Così delicato e sensibile, il Poeta ne scrisse 19 anni più tardi nella poesia Vittoria, ma utilizzerà il ricordo del fratello per la partecipazione della madre al Vangelo secondo Matteo. L’altro capitolo, quello della scuola famiglia socratica di Versuta durante la renitenza di massa post 8 settembre è un cammeo, di cui si tratta qui sotto. PPP borghese e machista che piace alle donne. Negli anni ruggenti di Roma tra vestiti alla marinara e via Veneto, Pasolini è così scandaloso borghese, da essere adorato dalla gente che piace. E’ in particolare adorato dalle donne con i suoi tratti da pugile alla Monzon o, secondo sua testimonianza, al cantattore Ranieri; lascia cuori infranti, sloveni di Josipina e di buone madri di famiglia della Mauri in Friuli; a Roma a partire dalla Betti, vedova per merito, è un seguirsi di cinguettii, la Bemporad Bembo, la Mangano, la Maraini, la Callas che parlano ammiccando poi di notti platoniche. E’ sensibilissimo con le donne ma non con gli uomini oggetti sessuali. A margine della Medea però nascosto ma più importante c’è lo struggimento, il rotear degli occhi, il fremere di mani e voce del PPP, della Divina e del Rossellini jr. mentre valutano, come fosse un giovane toro, di bell’aspetto, quel fusto del Gentili, strappato allo sport per interpretare da dilettante, Giasone. Ed è lui il Mandingo bianco a strappare ghigni, sospiri, voluttà, mano morte sia maschili che femminili. Il potere ed io desiderio dei potenti e meritevoli, e magari brutti, sulle carni muscolose e procaci. Meman-too verrebbe da dire. Lui che non sopportava nella donna comportamenti civettuoli e graziosi, adora il dramma di Marylin Monroe; sono le donne a scatenarsi dopo la sua morte violenta alla ricerca di un omicida del rango almeno della vittima. E’ comprensibile; accanto alle pance, ai fisici curvi degli intellettuali, alla disattenzione allo stile sempre più trasandato, Pasolini è sempre preciso, pulito, ordinato, atletico, come ci ricorda nell’appassionata prefazione il nippologo, e non solo, Riccardo Rosati. Gioca a pallone da quando era stato promosso capitano di calcio ancora all’Università; è un Karate Kid, cerca ed evidenzia la prestanza fisica, tanto sottovalutata dai compagni, non ha paura di menare le mani; veste come un sanbabilino in anni in cui i vestiti sono uniforme ideologica. Il sociosomatismo svela una forma mentis inattesa pasoliniana, che fa intendere altre ragioni al colloquio con i destri, oltre quelle dell’inchiesta o del dialogo. Ed all’epoca a sinistra erano ben pochi che considerassero possibile parlare con i nemici assoluti. Il Pasolini borghese vedeva gli antifascisti, come fascisti discriminatori. Non abbiamo fatto nulla perché i fascisti non ci fossero. Li abbiamo solo condannati gratificando la nostra coscienza con la nostra indignazione; e più forte e petulante era l’indignazione, più tranquilla era la coscienza. In realtà ci siamo comportati coi fascisti (parlo soprattutto di quelli giovani) razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati razzisticamente a essere fascisti, e di fronte a questa decisione del loro destino non ci fosse niente da fare. Proseguendo l’intuizione di Rosati che vorrebbe fare quasi di Pasolini un destro nascosto, si intravvede il borghese ritratto nel cittadino al di sopra di ogni sospetto (o al di sotto). Al riparo della grandeur culturale con cui si accompagna, ma umanamente interagisce molto poco, può cercare altre amicizie con gli accattoni, gli unici capaci di superare la sua innata solitudine solipsista. Qui passo dopo passo cresce la statura interiore del capobanda, del teppista in nuce, che con i soldi e la fama comanda a bacchetta una servile banda di affamati che a loro volta gli insegnano sempre con rispetto lingua e tranelli di strada; con loro può ridere impunemente di tanti intellettualismi, può affermare a tutto tondo volgari voglie carnali. Anche nella scuola famiglia di Vetusta e Casarsa, preso da tentazioni pedomosessuali come nel Simposio di Platone tra Socrate ed Alcibiade. era venerato come giovane poeta e maestro, guida socratica di fanciulli e fanciulle di 14 e 16 anni; li ingenuo che non affronta l’accusa ma addirittura la racconta ai poliziotti con tanto di riferimento a Gide, tutto ripreso nell’Amado mio, pubblicato 7 anni dopo la morte. Condannato, ci penseranno, in due tappe processuali, 100mile lire date da borghese a ciascuno dei ragazzi per l’assoluzione, dovuta alla mancanza di querela ed altre fantasie di comodo. Negli anni a venire, PPP si fa più arguto: dalla rissa di via Panico del ‘60 a quella del Quattro Fontane di Roma, dove viene picchiata la Betti, dalla complicità con altri della banda, Benevello e Tedesco per coprirne furti ed intemperanze al divertimento di un branco di cani affamati lanciati a sbranare 50 pecore a Serra La Nave di Nicolosi, con tanto di risarcimento negato (’68). Strani casi di giovani maestri forse violentati che ritrattano (’65) o di discorsi di sesso con dodicenni ad Anzio, archiviati. Poi l’accusa di un barista di S. Felice Circeo di aver cercato di rapinarlo come un Mandrake, per la quale Pasolini viene salvato dopo la condanna sempre in compagnia dell’avvocato amante, e dopo stizze letterarie, dall’amnistia due volte. Come un Andreotti qualsiasi. Questa vicenda del capobanda è una sorta di proseguimento infinito del neorealismo, approccio obbligato cinematografico del dopoguerra per mezzi e nel clima della sconfitta, che PPP aveva esasperato nel suo cinema, anche per una visione razzista della realtà meridionale italiana. Di questa realtà, che nella vita gli permetteva di traslarsi dalla fantasia alla realtà come un Mr Hyde, via via forse non seppe più fare a meno, anche quando si faceva sempre più brutale e pericolosa. Si parla sempre, nell’agiografia borghese antifascista, di una grande morte, anche quando fu tutto il contrario, venuta da atti di boicottaggio e di violenza da parte dei gruppi di estrema destra, raid fascisti a caccia di Pasolini ed amici. In sottofondo resta però la gang war per la quale non si presenta denuncia per io malinteso senso dell’onore delle bande. Ora ad Ostia, luogo della morte, ci sono tre monumenti a PPP, a piazza Gasparri, a piazza Anco Marzio ed all’Idroscalo,periodicamente vandalizzati, poi risistemati come in luogo d’occupazione. In cerca del grande giudizio che sia all’altezza della morte che non può non essere grande per il grande Poeta, PPP ha almeno ottenuto la condanna di Ostia maledetta per sempre, unico caso di un municipio sciolto per mafia. PPP abroad. Anche all’estero PPP è un must, fatto rientrare dagli americani soprattutto sulle variazioni del neorealismo, questo brand croce e delizia dell’Italia nel mondo. E’ in Russia, nel paese antiomosessuale però che Pasolini, il goluboj, assume una grandezza maledetta, eroica, combattente. Qui i suoi accattoni sono gli zek dei gulag. E grandi eroi della moderna Russia sono zek, da Solgenitsyn a Limonov. La contorta Russia sa esaltare carcerati e secondini e per le stesse ragioni. Nel’66 il marxista PPP è a New York e ne è subito conquistato per l’anticonfomismo del look giovanile, per il gusto favoloso senza regole né borghesi né popolari, per la grazia travolgente che chiama all’impegno. Ed in effetti il centro d’America spiazza in lui ogni dialettica, ogni lotta di classe tra borghesi,opereai ed accattoni. La sera va, abbandonata la Maraini che cercava di sedurlo scopertamente, malgrado la presenza dell’annoiato Moravia, lungo i docks, i bassifondi a scoprire una terra che è tutta grattacielo e borgata. Dieci anni dopo, vi avrebbe potuto benissimo incontrare Edichka, un figlio di un impiegato del Kgb, moscovizzatosi tra i dissidenti da samizdat, emigrato in Occidente come quasi ebreo, gigolò alla corte di Warhol e dell’emigrazione bianca, precipitato sul finire dei ’70 nelle strade newyorkesi a prostituirsi. PPP e Lemonov Alla corte di Warhol dove si esibiva come gigolò sovietico con la sua bella Lena, futura contessa Carli, Edy baby aveva saputo che la traduzione in italiano del film Trash del guru americorumeno l’avevano fatta proprio Pasolini e Maraini rigorosamente con non professionisti. Eduardino, come potremmo tradurre, non è altro che il russo nazionalbolscevico e postdissidente Eduard Veniaminovich Savenko, detto Limonov (da lemonka, bomba a mano), reso famoso dalla biografia di Emmanuel Carrère del 2012. Aveva toccato Ostia nel '74, un anno prima della morte di Pasolini, per andarsene poi negli Usa. I suoi anni di strada newyorchese li aveva raccontati nel suo primo romanzo del ’79, Io, Édichka, Il poeta russo preferisce i grandi negri che può essere ben definito un testo pasoliniano, la scoperta dell’accattone globalizzato, un grande accattone, il trionfo del modello pasoliniano anche nei bassifondi notturni della grande mela e del mondo. Limonov, che completa Dugin, nell’immaginario del putinismo granderusso, però al contrario dell’ideologo di Rodina, non parla l’italiano; ma come l’altro crede al legame che unisce la prima e la terza Roma. Ha tre riferimenti: D’Annunzio, Evola e Pasolini; con quest’ultimo si identifica come uomo-scandalo, come talentuoso accusato di tutti i peccati possibili. Anche se i suoi eroi non hanno fatto i lunghi periodi di carcere subiti da Lemonov nella Russia attuale. A Parigi ha apprezzato il cinema pasoliniano soprattutto il Salò o le 120 giornate di Sodoma, interpretato come una visione vitalistica di violenza, di vita e di morte, senza giudizi morali e politici, quindi ragioni opposte alle intenzioni del regista. Elogi tra Evola e Pasolini, che riprendono, per esempio, le lodi russe che plaudono al tutt’uno – D’Annunzio, Evola e Pasolini. Chi oggi in Italia esalta il putinismo, forse non sa di ammirare per interposta persona Pasolini. D’altronde, anche i nostalgici di Berlinguer non sanno di ammirare nel subconscio Andropov. Loro non amano, né amarono il poeta di Casarsa, che invece ne era respinto spasimante. Destra per destra, destra e sinistra, Destra per sinistra e destra; Sinistra per destra e destra; Sinistra contro sinistra; Destra per destra e sinistra. Cerchi ipnotici su diversi livelli di realtà, incomprensibili, oggi in fondo noiosi e scartati, domani chissà. Limonov è tornato nei luoghi di Pasolini, soprattutto a Ostia, non a cercare le colpe degli accattoni di destra (cui assomigliano le sue bande nazibol) dei mandanti, dei servizi, lui, Edichka si era vantato di tornare nella Russia postsovietica con l’uniforme del Kgb, lui che aveva pubblicato sul giornale americano dei dissidenti russi l’elogio dell’Urss. Tanto scandalo, tutto scandalo per fare scandalo. Come PPP, l’arte ha suo fin nello scandalo, tutto il resto è noia e cazzo.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.