Tutto quello che non va nel reddito di cittadinanza spiegato da un Nobel

Attualità

Qualche volta, nel mondo di centrodestra e tra i pochi grillini che non credono al fatto che i libri siano un complotto globale per non farci guardare le scie chimiche, qualcuno lancia una curiosa teoria: il reddito di cittadinanza è un’idea di Milton Friedman. Ed ogni volta che succede, il povero nobel si rivolta nella tomba, un cucciolo teneroso di coniglietto da qualche parte muore ed un angelo piange disperato. Per cui non fatelo. Oltre a queste validissime ragioni ve n’è un’altra: è una cavolata mostruosa. Letteralmente una bestialità. Friedman ha proposto una cosa completamente diversa. Molto controversa, mai totalmente applicata, ma totalmente diversa.

Partiamo dalle basi: noi oggi viviamo in un sistema di rapina globale autorizzata chiamato Stato (ladro) Sociale. In questo sistema alcuni diritti vengono considerati universali, quindi vanno pagati da chi non ne usufruisce a chi ne usufruisce. Questo fa sì che, determinati beni o servizi (tipo la sanità) debbano essere per talune categorie, di solito reddituali, gratuite. Il numero di questi “diritti” è in costante espansione, i costi relativi pure. Ed anche quando altre fasce di popolazione sono obbligate a contribuire, di norma in parte (ticket) loro ne restano esenti. Questo fa sì che, a parità di reddito, alcuni ricevano una integrazione, sotto forma di servizi appunto, maggiore ed altri minore.

Il reddito di cittadinanza si aggiunge sopra questi costi sociali. Andando a coprire le ultime esigenze lasciate fuori dai servizi essenziali. Non serve, in sostanza, per mangiare (mense per i poveri e servizi sociali), curarsi (servizio sanitario nazionale), studiare (istruzione pubblica) o avere un tetto sulla testa (case popolari). Ma per fare altro. Cosa lo deciderà il legislatore. Ma sarà un di più, ovvero qualcosa che esula dai diritti di base. E verrà dato a gente che ha reddito zero, ma che percepisce già migliaia di euro in servizi.

Milton Friedman, rielaborando un’idea economica degli anni ’40 della politica Juliet Rhys-Williams, proponeva di abolire lo Stato Sociale ed istituire un sistema sostitutivo: se sopra un certo reddito si pagano le tasse, in una certa fascia non se ne pagano, sotto una terza si riceveva un tot dallo Stato. È una tassazione negativa. Questo permette di risparmiare tutto il costo della burocrazia che ridistribuisce la ricchezza, la burocrazia che gestisce l’accesso ai servizi gratuiti. Consente di privatizzare tutti i servizi e metterli in competizione tra loro. Garantisce una flessibilità del sistema, che permette di dare poco a chi di poco ha bisogno e molto a chi di molto ha bisogno. Senza garantire a nessuno una vita agiata senza lavorare.

Soprattutto è un sistema che fa risparmiare lo Stato, consentendo di spendere una cifra molto vicina a quella erogata ai bisognosi, invece di doverne spendere una maggiore perché inclusiva di spese e malversazioni. Ah, e si consente così di rendere autonomia anche i poveri, che devono scegliere da chi comprare e quali servizi comprare. Ovvero l’esatto opposto del reddito di cittadinanza. In cui il governo ti dice quali spese sono morali e quali immorali. In definitiva, la tassazione negativa non è un reddito di cittadinanza. È un aiuto, sotto forma di tassa. Negativa. Ma sempre una tassa. Ed a molti liberali, compreso chi scrive, le tasse non piacciono nemmeno quando sono negative.

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