E’ più di un anno che va avanti la protesta dei ca. 2000 lavoratori delle coop che gestiscono in appalto i servizi Cup – Recup – servizi amministrativi delle Aziende Sanitarie e ospedaliere della Regione Lazio. Man mano che la vicenda si avvicina alla fine imminente, ormai incombente, si è fatta più arrembante, sofferta, rabbiosa tra gli addetti ai lavori, tra gli interessati, le famiglie, le società coinvolte, i colleghi della ianta organica regionale. Malgrado si parli di decine di migliaia di persone, comunque la cosa fa poco notizia.
Le ragioni sono varie. Intanto la cosa si trascina ben da tre anni, quando si decise di mettere a gara ciò che era da decenni andato avanti con le proroghe alle coop e che era finito nel tritacarne di Mafia Capitale. Poi la scelta del 2015, di affidarsi al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa un’aggiudicazione non solo mostra copertura legale (art. 83 del D. Lgs. 163/2006) ma appare anche cosa avanzata, etica e trasparente. Per di più Mafia Capitale ha manomesso la reputazione delle coop e delle loro proteste. Non è nemmeno in gioco l’occupazione. C’è l’ accordo di garanzia occupazionale tra Regione e sindacati per fare il quale ad agosto si è rinviata l’entrata in servizio dell’azienda aggiudicatrice per le ASL2 e 3. Tempo, legalità, scarso effetto sociale, per cui non c’è notizia.
Si tratta anche di una piccola cosa. La Regione di Zingaretti si vanta di aver ridotto di 2 miliardi lo sforamento del budget fissato per il Lazio a 124 milioni; di aver ridotto la spesa per il personale sanitario di ca. 5 punti; ed anche il numero dai 55mila del 2006 ai 43mila di oggi. E’ la politica del Pd centrista. L’Europa spende in sanità mille miliardi, l’Italia 120, il Lazio 11. I 71 milioni della gara del Cup sono meno dell’1% e rientrano in un piano di rientro della spesa sanitaria che per Zingaretti è un fiore all’occhiello. Quello che i lavoratori lamentano è il vanto del governatore. Se però non c’è notizia, male si spiegano scioperi, incontri promossi dal governo, ricorsi al Tar, interpelli alla Corte dei Conti, richieste all’ ANAC, sedute di consiglio regionali e municipali speciali, sit in, appelli alla società civile, ai partiti, incontri al MinSalute, alla Camera e via di questo passo. In particolare ha bucato lo schermo un documento politico di minoranza regionale dei 5 stelle che ha accusa sia il vecchio regime delle proroghe che quello della gara di favorire una lottizzazione partitica delle aziende vincitrici. Al testo non ha risposto la politica ma inusualmente la principale vincitrice, la trentina GPI. apparentemente vicina alla sinistra.
In realtà ci si morde la coda inutilmente. Gli appalti dovrebbero essere sono il ricorso ad imprese specializzate. Sono per lo più il modo di diluire occupazione, responsabilità, rispetto di un mare di norme che economicamente non sono sempre sostenibili. Sono per la pubblica amministrazione, votata per la conformazione italiana a spreco e inefficienza, l’unica occasione di ridurre i costi. In tutti i cambi appalto relativi i lavoratori soffrono sempre ripercussioni, tutte legali perché nel mondo attuale le concorrenze fiscali, contrattuali e contributive come le delocalizzazioni lo sono. Non lo erano fino ai primi ’90. In generale però chi vorrebbe che tornassero illegali, stigmatizza gli anni in cui lo erano, tacciandoli come periodi di corruzione e spreco. In questa confusione ad ogni passaggio i lavoratori ci rimettono in numero e ciascuno in tasca. Ad ogni gara c’è protesta che poi muore davanti ad un muro di gomma.
Senza contare che l’allungamento delle liste d’attesa induce il Nord più ricco a spendere più in sanità privata per il 15% ed il Sud più povero non curarsi per il 13%. Anche questo conta poco nel quadro generale florido italiano di massima previsione di vita media e di massima diminuzione delle morti da cancro (17%), primato nazionale in Europa. Il nostro mercato del lavoro è avvezzo da decenni a vicende di questo tipo per cui oltre il momento della prima protesta, la notizia non resta impressa. La conclusione è i lavoratori del Centro Unico di Prenotazione del Lazio dovranno firmare i nuovi contratti biennali con i nuovi aggiudicatari oppure ricorrere agli strumenti di cassa integrazione. Dovranno lasciare le coop, in genere sociali, che danno lavoro a ex detenuti, ex tossici, ragazze madri e immigrati Capodarco, Maggio 82, Pingo, Il Solco, NTA, Camus, GPI, Mimosa in difficoltà. Firmeranno nuovi contratti per un nuovo CCNL passando da 4 livello Commercio ad un 3 livello Multiservizi, perdendo l’anzianità.
Lavoreranno per la GPI di Trento, il coop consortile trentino Lavoro Ambiente e l’Agenzia Lavoro In Opera con appalto da € 40 milioni (lotti 2, 3 e 4 RMC, RMD, IFO, Spallanzani, RMF, Rieti, Latina, Frosinone, Viterbo, RMA, RME, RMG, Sant’Andrea, Policlinico); e per la coop SDS di Taranto e la società di vigilanza romana TV Services con appalto da più di 11 milioni (Lotto 1 RMB, RMH, PTV). Lo faranno per due anni poi si vedrà. Per inciso, il Gruppo GPI con i bandi Cup ha triplicato i ricavi, dai 63,5 milioni del 2013 ai quasi 200 attuali. Quanto denunciato come caporalato non è illegale, appare una truffa ma non lo è di diritto. Anzi, appare illegale l’aiuto di quasi 4 milioni che la Regione darà con emendamento al Bilancio, 50 euro netti di media a copertura anzianità che peseranno sull’erario e falseranno la gara. 200 euro in meno ed una paga oraria di 5,5 contribuiscono al minor spreco della regione e dello Stato, da quasi un decennio in avanzo attivo. Se poi ogni risparmio sudato si va a far benedire, con 64 miliardi di interessi sul debito pubblico, questo è un altro conto.
Chiunque chieda che i nostri vengano assunti e trattati come i colleghi delle Asl di Roma e di tutto il Lazio dove operano da più di un decennio presso medicina legale, ragioneria, controllo di gestione, protocollo, affari generali, segreterie, sportelli cup ed intramoenia, emissione tessere sanitarie e dei codici Eni per gli stranieri, cup analisi, Urp, servizio vaccinazioni, pronto soccorso, ricordi che chiede in ultima ratio il ritorno della Prima Repubblica. Il trattamento equo costa, non lo si può nascondere.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.
Buonasera ho letto con attenzione,sono un operatore Cup Asl RM 3…e non è possibile accettare uno stipendio da CAPORALATO e non si può declassare una persona che come me e altre 3000 circa per oltre 20 anni hanno svolto un lavoro acquisendo nel tempo competenza e professionalità…le regioni per risolvere questo problema potrebbero assumerci ed internalizzarci…ma ovviamente non avrebbero più da giocare con APPALTI …gare e garette che permettono di giocare con soldi pubblici… perché questo non viene detto… nessuno parla di noi…ma ci siamo e resistiamo a questa ingiustizia !