L’epica della Bassa, poesia e ironia in Bertolucci e Guareschi

Cultura e spettacolo

La Bassa è un orizzonte senza confini, per quella terra grassa e capricciosa che languidamente si perde con i contorni di un sole abbacinante o di una nebbia misteriosa e cupa. Ma la Bassa pulsa con straordinaria vitalità nelle stagioni che passano, con l’attesa paziente dei contadini, con la genialità e la saggezza di chi ci vive. E’ un fazzoletto di terra che sfoglia lentamente le ore con l’operosità di chi ha imparato l’arte di produrre il massimo da una pianura apparentemente senza un perché. In quell’orizzonte abitano la poesia di Bertolucci e il graffio umoristico di Giovannino Guareschi. E non sembri strano che la dimensione epica e universale della Bassa assurga ad un protagonismo che è realtà quotidiana, fatica, idee, contraddizioni, sogni riconosciuti in tutto il mondo. La Bassa racconta il suo languore, la sua malinconia e quel continuo richiamo al padre Po, le ideologie  sanguigne dei protagonisti, lo sguardo ora elegantemente dimostrativo o ironico e creativa dei due artisti. Il Novecento è un affresco che si dilata, con i personaggi che si dipanano con la verità di un microcosmo che diventa paradigma e il teatro si consuma con inquadrature che ricorda la pittura, l’arte della memoria, «La Bassa, se ci stai dentro, non ha confini, non vedi monti, tranne in rarissime giornate estremamente limpide dopo piogge eccezionali, ma in generale la Bassa non ha confini, quindi è un mondo come in espansione, la Bassa è come un fotogramma di pellicola, il fotogramma di un film che non si chiude sopra, in basso, a destra o a sinistra, è un quadro senza cornice” sintetizza lo stesso Bertolucci. Nella saga di Don Camillo, Guareschi graffia la realtà, esalta l’istinto ironico dei protagonisti, crea caratteri forti e contrapposti, ma la Bassa è sempre presente, nei suoi lunghi filari, nella magia di quel piccolo mondo che gronda di generosità “Ecco il paese, ecco il piccolo mondo di un mondo piccolo piantato in qualche parte dell’Italia del Nord. Là in quella fetta di terra grassa e piatta che sta tra il fiume e il monte, fra il Po e l’Appennino. Nebbia densa e gelata l’opprime d’inverno, d’estate un sole spietato picchia martellate furibonde sui cervelli della gente e qui tutto si esaspera. Qui le passioni politiche esplodono violente e la lotta è dura ma gli uomini rimangono sempre uomini e qui accadono cose che non possono accadere da nessun’altra parte“. Così inizia il primo volume di Don Camillo. Ed è un susseguirsi di contraddizioni, di caratteri, di situazioni narrate con la penna di un umorista di razza, che scandaglia gli animi, che ride e sorride in simbiosi con i personaggi. «Così vi ho detto, amici miei, come sono nati il mio pretone e il mio grosso sindaco della Bassa. […] Chi li ha creati è la Bassa. Io li ho incontrati, li ho presi sottobraccio e li ho fatti camminare su e giù per l’alfabeto.»

Io ho camminato su e giù in una fredda serata d’autunno per ascoltare ancora la melodia della mia terra.

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