Alla fiera di Più libri più ignorati

Cultura e spettacolo

Più libri più liberi, fiera nazionale della piccola e media editoria non era all’inizio, nel 2002, promossa dall’Aie (Associazione Italiana editori) ma dai Piccoli editori.

Questi dovrebbero rappresentare, con parola e concetto orribili, la bibliodiversità. Si tratta di case editrici che spesso hanno sedi in casa propria, personale fatto solo di stagisti, vendite di libri non oltre il migliaio di copie e che alla fine in 4500 fanno solo 200 milioni di euro di fatturato, il 14% del mercato editoriale, danno lavoro ufficiale solo a 6.000 lavoratori e riempiono solo il 4% delle librerie di catena. Un secondo lavoro, insomma. A rappresentare i piccoli editori è rimasto solo il verace napoletano Diego Guida, editore e libraio da tre generazioni, nonché autore, pubblicista e docente alla Suor Orsola Benincasa, più volte medaglia d’oro della locale Camera di Commercio e del Mibact. Ed il Sud è il deserto dell’editoria e dei lettori con una sola fiera a Napoli, abbastanza misconosciuta.

Oggi il comitato promotore della fiera coincide con l’esecutivo Aie, con il giornalista Ricardo Franco Levi, che dall’esperienza prodiana in Parlamento è atterrato  alla presidenza degli editori, sull’esempio di Rutelli alla presidenza dei cinematografari; con il lobbysta Fabio Del Giudice che lavorava per il vicepresidente della Camera leghista Pedrini ai tempi di Bossi e che oggi può giustamente rivendicare di poter tessere buoni rapporti istituzionali; con il trevigiano Alfieri Lorenzon, funzionario da sempre di case editrici, dalla Libreria Universitaria di Padova, alla Liviana, Tramontana, Mondadori, McGraw-Hill, Interorbis, Walt Disney Italia, Touring, da dieci anni Dg Aie che intende superare il record dei 13 anni del predecessore Ivan Cecchini (’95- ’08); con Annamaria Malato, figlia dell’editore romano della Salerno, una casa editrice che in 40 anni è arrivata a toccare i 2 milioni di revenues. Senza contare che Del Giudice è riuscito a scalare da direttore, Confindustria Cultura Italia che riunisce oltre l’editoria, anche Afi (fonografici), Fimi (discografici), Pmi (produttori musicali indipendenti) ed Univideo (home entertainment); un rassemblement senza contratti da48 miliardi di euroed880.000 posti di lavorodove l’editoria rappresenta solo 3 miliardi e 23mila occupati (12mila nelle case editrici e 11mila nei periodici). Che con magra soddisfazione ha superato l’editoria dei quotidiani, in calo a 2,5 miliardi per 11mila dipendenti.

L’Aie, con 49 anni la più antica associazione di categoria italiana, aderente a Confindustria, è riuscita a farsi finanziare la fiera con 60mila euro dal Mibact e 100mila dalla Regione Lazio. Inoltre guida il progetto, leggasi finanziamento, del network europeo di fiere ALDUS (Francoforte, Vilnius, Roma, Milano, ecc.) che è l’unico risultato ottenuto dal Fep, associazione degli editori europei, affogato come è nell’idea vasta e nebbiosa di Creative Europe, il che spiega la sconfortante debolezza della sua delegazione di Bruxelles, piena di giovani stagiste. Non era però l’Aie che riunisce gli editori di libri e riviste cartacei e digitali, quella cioè di Amazon e di Mondadori che ha ingoiato Rizzoli; l’Aie dei 300 editori che pubblicano ogni anno l’80% di 62mila nuovi titoli.

E’ stata l’Aie della fiera che ricorda la scomparsa di Inge, vedova di un aspirante e fallito milionario terrorista; la fiera di Mentana che presenta il suo nuovo giornale on line Open con in testa il figlio; della presentazione all’entrata del volume La giustizia è cosa nostra, lapsus freudiano del partito giustizialista di un giudice e di un giornalista scomparso e compianto; della premise decennale ripetuta e corretta dei Travaglio e dei De Lillo su I padrini fondatori dello Stato mafia; di Zoro con la sua banda; di Damilano con Segre. La fiera libraia ricorre ai divi televisivi dei talk per fare un ottimo affare; un milione dai 100mila visitatori che hanno pagato, ogni giorno dal 5 al 9 dicembre, l’accesso a 8 e 10 euro ed ancor meglio 2,5 milioni dai circa 600 espositori che hanno pagato lo stand a 4\6mila euro (standard ed extended), inclusa la tassa da 400 per l’Aie, obbligatoria anche per i non iscritti.

I più di 300 eventi hanno fatto festa ai 7 milioni di lettori di più di due libri, senza pensare che il 38,1% dei professional ed il 32,3% dei laureati non legge alcun libro e che ogni anno 11 milioni di persone comprano 16 milioni di libri, quasi uno ad uno, bloccati forse dagli alti costi del prezzo di copertina, malgrado il calo dai 21,60 euro del 2010 ai 19 euro attuali. Si tratta della contrazione del nostro bacino di potenziali lettori rispetto alle altre editorie continentali. Forse gli italiani non amano i titoli pubblicati dai compatrioti celebri e premiati dagli esperti; hanno predilezione per il fantasy che con intuizione i piccoli editori pubblicano ma che non è sostenuto in nessun’altra sede, men che mai dal cinema. Il basso indice di lettura trova spiegazione nella diversa forma mentis tra lettore e offerta editoriale, al netto delle tante nicchie di mercato di specialisti e tifosi.

Questo spiega anche l’alto tasso di scrittura – gli italiani più che leggere, scrivono – cui si è convertito il principale business dei piccoli editori, quei 500 euro di media che gli esordienti pagano per pubblicare. Sul lato della proposta le migliori vendite dei piccoli editori toccano le decine di copie, le centinaia, non oltre le migliaia. Uscendo dalla fiera dove ciascuno di loro non ha nemmeno ripagato lo stand con le vendite, qualcuno si chiede perché non vengono destinati gli spazi pubblici inutilizzati a fiere gratuite permanenti, perché non venga creato un marketplace concorrente ad Amazon. Le sinergie sono però idee acroniche nell’era dell’eliminazione degli aiuti pubblici alle forme editoriali e delle divisioni alimentate anche dall’Aie tra Torino e Milano: e per Milano l’associazione ha avuto dal Mibact 50mila euro.

Si esce tra un centinaio di lavoratori ad intermittenza dalla ipercostosa centomilionaria Nuvola affollata, poco lontano l’ex Fiera di Roma ed il Palazzo dei Congressi rimpianti per i pedaggi inferiori; vuota lontana resta anche la Nuova Fiera di Roma. Allegria, però, gli scrittori italiani non piacciono in casa ma all’estero vendono di più, per il 10,1% e tanto basti.

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