1848, 1888, 1938, 1968 succede un duemiladiciotto

Esteri

Si parla di tutto sui media nostrani, dalle fornicazioni bipartisan nei bagni parlamentari degli esponenti giacobini di governo ai dolori delle giornaliste in metro davanti alla discriminazione per le gazze zingarelle ladre con tanto di pargoli. E non si parla di Francia. Eppure nella storia moderna, quando Parigi starnuta, l’Europa prende il raffreddore. Pittella, l’improbabile capogruppo socialista europeo, dall’eloqui o extracomunitario, invoca i grandi della terra perchè seguino Macron, le president francais delle tasse per l’ambiente. E non si è accorto che Emmanuel non parla per niente, non parla più, imbalsamato dalla paura in tutto il suo snello biondo metro e sessanta, appena tenuto in piedi dalla moglie nonna e dal bel ami nero. Se ne sono accorte le agenzie di viaggio però e la Farnesina. Oggi Francia e Parigi si trovano accanto a Somalia, Iraq, Gaza e Haiti nel reparto viaggi estremi e avventurosi. Chi ci va lo fa a suo rischio e pericolo.

Il 12 luglio 1789 la presa del carcere della Bastiglia dipese dalle urla di un avvocato balbuziente compagno di banco di Robespierre, Lucie-Simplice-Camille-Benoist Desmoulins. Costui si mise a urlare che gli amati reggimenti tedeschi reali avrebbero ammazzato la folla venuta a festeggiare il licenziamento dell’odiato ministro Necker. Una balla, che caricò la folla che intuiva la debolezza del re. Analoga al Desmoulins, a maggio la 32enne di colore, Priscilla Ludovsky, gestore di una profumeria a Savigny-le-Temple, dipartimento di Senna e Marna, ha pubblicato una petizione su Change.org che chiede la riduzione del prezzo della benzina alle pompe. Una richiesta banale e logica, visto l’abbassamento del costo del barile del 30% a 60 dollari il che di solito anche in Francia non influenza quanto richiesto alla pompa all’utente. Si tenga conto che in Francia la benzina costa un euro e 432, meno che in Germania, un euro e 476, per non parlare dell’italiano euro e 599. Ai francesi però sembra già un prezzo molto alto. In Francia negli ultimi dieci anni i salari sono aumentati del 20%, in Germania del 14%, quando in Italia ci si è accontentati di un risicato 2%. La disoccupazione sotto un anno e mezzo di Macron è scesa dal 9,4% al 9,1%, l’inflazione è salita dallo 0,7% all’1,9%. Non c’è una stangata fiscale in corso, semmai le conseguenze della carbon tax del 2014 dell’impopolarissimo François Hollande, un costo pro capite di 55 euro. Sono vigenti ancora le regole di Juspin, 35 ore e l’orario di lavoro corto, i pochi contadini prendono la più grossa fetta dei fondi europei agricoli. la spesa pubblica è il 56% del Pil, la tassazione è tra le più alte al mondo, lo stralcio dalle regole europee è costante e vicino al 3%. Questa Francia, assimilabile all’Italia della prima repubblica, è ancora un welfare state malgrado la tecnocrazia al potere. Non va bene però per gli investitori, né per la finanza. Macron, proseguendo l’operato di Hollande, vorrebbe liberalizzare, ridurre il peso dello Stato e finora ha solo alleggerito le tasse sulla rendita. Le President, malgrado i tracolli elettorali, non ha a disposizione il discredito morale per i costruttori e fautori del welfare, anche se Pon Pon Mitterand be avrebbe potuto dare ben donde. Alla resa dei conti è stretto dallo statalismo di sinistra e quello gollista che esprimono la mentalità media francese. Per questo urla la Priscilla. Il francese medio non vuole cambiare.

Eppure l’urlo sui social di Priscilla ha effetto come quello del 1789; a metà ottobre lo condividono in 300mila, ora siamo al milione. Due camionisti trentenni, Eric Drouet e Bruno Lefevre, il 17 novembre usano la funzione eventi di FB per annunciare il blocco di tutte le strade francesi; innumerevoli post e video si intrecciano in modo virale fino al vaffanculo a Macron via smartphone dal tinello di Jacqueline Mouraud, una 51enne bretone, fisarmonicista e ipnoterapeuta, una Jeannne Moreau invecchiata. I manifestanti portano il gilet giallo d’emergenza che devono mettere i camionisti scesi per strada. Indumento consueto anche ai ferrovieri che da mesi sono in lotta per le minacciate privatizzazioni. Il gilet, però, è anche il simbolo delle costrizioni intrusive della sicurezza globalizzata, come i caschi, le cinture di sicurezza, gli allarmi sonori che tramite hardware regolano anche la vita privata delle persone. Ed ora viene rigettato in faccia a chi l’ha pensato.

17 novembre, in migliaia escono dai social per entrare nelle strade e nelle piazze francesi; di nuovo il 24 novembre e così via, weekend dopo weekend. E’ un movimento della violenza del sabato, sfogo dello stress e della rabbia accumulati in settimana che si traducono in una determinazione violenta che non teme lo scontro. Anzi ad ogni weekend la voglia di menare le mani alza il livello. L’effetto è che il 1° ed il 2° dicembre la terza manifestazione ovviamente non autorizzata della protesta contro il caro carburante è tipica guerriglia urbana, con fumogeni e bombe carte dei manifestanti, idranti, lacrimogeni, granate e lacrimogeni della polizia, barricate. Un centro commerciale Auchan bruciato a Saint Etienne, auto della polizia in fiamme a Marsiglia, 30 feriti a Tours ed a Bordeaux, chiusa Tolosa, bloccati autostrade e aeroporti di Nantes e Nizza, rivolte a Dijon, financo a Bruxelles con 74 fermi. Nella Capitale 187 roghi, evacuate le Galeries Lafayette, distrutte agenzie bancarie e negozi, auto in fiamme comprese quelle delle ambasciate, esplosioni e incendi a Saint-Lazare, all’Arco di trionfo, all’avenue de Friedland, sulla rue de Rivoli, all’ave Kléber, all’avenue Foch, barricate a Boulevard Malesherbes, a fuoco anche la sede di una prefettura. Gli Champs-Elysees chiusi al traffico persi subito sotto l’attacco di poche centinaia di manifestanti che la cedono solo prima di cena. La giornata si chiude con 287 arresti, 378 fermi, 133 feriti ed i costi di una mobilitazione grandiosa dell’Etat, 66.000 poliziotti, 5mila solo a Parigi, surclassati da una folla di 136mila gialli. Fino al prossimo weekend.

Il 4 dicembre, come re Luigi XVI, il governo cala le braghe. Mentre Macron tace, il premier Edouard Philippe rimanda tutti i provvedimenti impopolari, gli aumenti sulle accise del carburante, sulle tariffe di elettricità e gas, i controlli più stringenti sulle emissioni delle auto ed attende a palazzo Matignon, sede del governo francese, i rappresentanti dei gilet. Non vengono però; la Mouraud che aveva detto la transizione ecologica? se la paghino i ricchi, ha paura. Non le si perdona il colloquio avviato con il governo e riceve raffiche di  telefonate di minaccia. Esattamente come i parenti di Macron di Amiens. La cioccolateria del nipote della première dame, Jean-Alexandre Trogneux, è sottoposta a gogna mediatica e materiale, sputi, insulti e minacce. Il 7 finalmente l’incontro si tiene e Philippe può chiedere scusa a la Mouraud ed ai nuovi leader Christophe Chalençon di Vaucluse, che ha chiesto le dimissioni di Macron, anche lui minacciato, Julien Terrier da Grenoble, Benjamin Cauchy da Tolosa, Thierry Paul Valette di Normandia, fondatore del movimento per l’eguaglianza, divenuto famoso per la petizione contro lo statuto di Brigitte Trogenux che doveva ufficializzare il ruolo di presidentessa ma che si è già risolto in un nulla di fatto.

Grosse nubi si accumulano sui personaggi del meeting. Valette è in odore di ex sostenitore della sindaca socialista Hidalgo di una città in coprifuoco. Cauchy, vicino alla destra, annuncia l’uscita dai gilet gialli radicali ed il lancio del movimento dei citron; Chalençon prevede morti e feriti; il governo avverte che userà blindati e proiettili veri per circa 90mila poliziotti. Questi però, secondo il sindacato di polizia Scpn, potrebbero non reggere la pressione. I servizi segreti temono omicidi di parlamentari, membri del governo e delle forze dell’ordine fino al golpe. Il ministro degli interni Philippe Costane pensa allo stato di emergenza. Macron pensa ad un nuovo premier alla Boulangere come Pierre de Villiers, l’ex capo maggiore dell’esercito del Kosovo. Escluso dal meeting, Drouet tuona che vuole sfondare l’Eliseo e viene subito inquisito; ma è l’ovvia voce dei gilets jaunes.

Il dialogo tra elite e casseurs non c’è. Nessuno dei due ha idea di come si sia realizzato l’attuale quadro politico e di come potrebbe cambiare. Macron ha toccato la sanità, le ferrovie, la scuola ed ogni volta si è punto. Ci sono sempre le banlieu arabonere del 2005 in fermento. La campagna dei gilet ha così potuto trovare un terreno fertile per riunire tutte le aree di protesta. I francesi guardano al sodo; come i socialisti hanno cambiato le loro posizioni classiche, li hanno puniti con il voto. Non ci hanno messo venti anni come in Italia. Republique En Marche! ha goduto dell’improvvisa caduta a sinistra e della scissione a destra; poi della solita coalizione di tutti anti Le Pen. Il suo parlamento all’apparenza roccioso è molto liquido, tutti i deputati sono transfughi di qualche altra cosa; così l’assemblea ufficiale è percepita come falsa e vuota ed i gilet chiedono un’assemblea vera dei cittadini. Sostenuti, anche se violenti. al 78% nei sondaggi (Harris Interactiv) ed anche dalla destra di Le Pen, dai comunisti di Mélenchon, e ipocritamente dai gollisti e dai socialisti di Holande e Royal. Il piano ecologista Macron (graduale abbandono delle centrali a carbone entro il 2022 a favore delle rinnovabili, dimezzamento del nucleare entro il 2035, aumento della tassa su benzina di 2,5 centesimi al litro e gasolio di 6,5 centesimi dal 2019) applica l’accordo di Parigi sul clima ma è anche ereditato dal governo Holland.

1848, 1889, 1968, 2005, 2018, Macron appare effimero come l’Orleans, prototipo di monarca finanziario che servì a ricacciare il Borbone in attesa del ritorno dei Napoleonidi. Ultimi comunisti italiani convertiti da vecchi al liberalismo sostengono che i gilet non sono un ’68 ma un fenomeno passeggero come fu il poujadismo. E’ una lectio ad usum delphini. Anche questa rivolta viene dall’America. Macron rischia di crollare come il predecessore, oggi più di ieri di fronte ad un Trump che esprime brutalmente il pensiero dell’uomo della strada occidentale. Non si può vivere peggio in attesa che la Cina inquini meno. Non bastano incentivi ridicoli per acquistare auto elettriche costose. In Francia i trasporti pubblici sono efficienti. Eppure non si possono bloccare le auto se casa e lavoro sono lontani. Sull’ecologia si misura la lontananza della tecnocrazia europea che non media con politica ed cittadini passivamente travolti dai grandi processi decisionali.

Fintanto che i socialisti non dimostrano onestà intellettuale, la rivolta dal basso fa il loro lavoro, e già alle elezioni europee, proporzionali, quale  sorta di movimento 5stelle transalpino potrebbe punire République En Marche!; oppure potrebbe la ricomposizione gollista senza prevenzioni sulla Le Pen. In ogni caso, per ritrovare serenità tra i suoi giovani di colore in slip e senza esaurimento nervoso, Macron deve recedere dai suoi tecnopropositi, restando immobile per tutto il resto di un mandato ancora lungo. In alternativa a la guerre comme a la guerre: la polizia già tratta gli studenti liceali come vietnamiti del ’53; ancora un passo e saranno fucilate sulla folla; dopo, dimissioni infamanti, macrodimissioni, macron démission.

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