Indro Montanelli lo bocciò come «una mezza figura, che non ha fatto neppure il solletico ai capi di Cosa Nostra».
Per Martelli il democristiano Leoluca, sindaco di Palermo dal 1985 al 1990, gran fustigatore di politici in particolare del suo stesso partito oppure degli alleati socialisti, era la vera “bestia nera”, un moralista finto che adoperava la retorica antimafia per farsi pubblicità, e allo stesso modo sembrava pensarla l’allora capo dello Stato, Francesco Cossiga.
Ma chi è Leoluca Orlando sempre pronto a sposare cause sbagliate pro domo sua?
Soprattutto Orlando fece un clamoroso passo falso accusando Giovanni Falcone di complicità con i politici che proteggevano Cosa nostra. Una brutta storia, iniziata quando nel luglio 1989 Giuseppe Pellegritti, mafioso, si pentì promettendo rivelazioni di portata nucleare sugli omicidi Mattarella e La Torre, esponente del Pci, ammazzato come Mattarella, e per motivi identici. L’uomo d’onore accusava senza mezzi termini Lima di aver ordinato l’uccisione di Mattarella. Falcone approfondì, indagò, arrivò alla conclusione che le rivelazioni di Pellegritti non avevano elementi a sostegno: lo accusò di falsa testimonianza e calunnia continuata.
Per due anni martellò con le sue accuse, il caso diventò una tempesta nazionale. Intervenne il presidente Cossiga e il Csm convocò e “interrogò” a lungo il magistrato che più di ogni altro aveva inflitto un colpo quasi mortale a Cosa nostra. E’ possibile, forse probabile, che quell’isolamento abbia se non altro aiutato don Totò a decidere di farla finita con Falcone a Capaci. Ironia della storia, proprio l’uccisione di Falcone riportò Orlando sulla poltrona di sindaco per la seconda volta.
Di cariche Orlando non se ne è mai fatte mancare. Da sindaco si fece eleggere nel 1994 europarlamentare. Nel 2000, già al secondo mandato consecutivo, rassegnò le dimissioni per candidarsi alla presidenza della Regione. Fu sconfitto proprio da uno di quegli ex democristiani della vecchia scuola, Totò Cuffaro, contro i quali si era scagliato nei già lontani anni 80.
Nel frattempo La Rete si era sciolta. Il sindaco di Palermo per eccellenza era finito nella Margherita, tornando alle origini, alla sinistra Dc, salvo venir messo alla porta da Rutelli dopo aver sostenuto nel 2006 la candidatura di Rita Borsellino alla presidenza della Regione in contrasto con il candidato sostenuto dalla Margherita Latteri.
L’ingresso nell’Italia dei Valori di Di Pietro, a quel punto, era un passaggio quasi obbligato. Diventò subito “portavoce” di quel partito nel suo effimero momento di successo sfruttando però la postazione per candidarsi di nuovo e con successo, nel 2012, a sindaco di Palermo
L’«Orlando furioso», che intende guidare, con Gigino de Magistris, il nuovo Masaniello di Napoli, la rivolta dei «cacicchi rossi» (come D’Alema definì i sindaci di sinistra) contro il decreto-sicurezza dell’odiato ministro Matteo Salvini, firmato da Mattarella, si è posto al timone di una nuova «gioiosa macchina da guerra», come definì l’alleanza dei progressisti. Quello schieramento incassò una rovinosa sconfitta da Silvio Berlusconi, alle elezioni politiche del 1994. (Brani tratti da Il Dubbio e Italia Oggi)
Milano Post
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845
ha avuto ragione montanelli, uno che cambia casacca, secondo convenienza, è uno che non ci si può fidare, poi spigatemi
come si può farsi eleggere sindaco per diverse volte in una città controllata dalla mafia, un dubbio sorge