di Armando Panvini – Fra i vizi capitali, l’invidia ha sempre occupato un posto tutto particolare. Si dice che dell’invidia ci si vergogna tanto sinceramente, che si fatica a parlarne. Sarà vero ? Spesso ci si vanta delle passioni più inconfessabili, ma l’invidia non si osa confessarla. Il paradosso più crudele è che l’invidia non mira a ottenere niente, e per di più non si cura del fatto che l’invidioso, se anche la persona oggetto della sua invidia perdesse tutto ciò che ha già, rimarrebbe sempre nella stessa situazione.
L’invidia, però, viene camuffata da questione di principio. Siamo talmente invidiosi della posizione preminente del nostro simile che, anche se non ne abbiamo alcun vantaggio diretto, siamo pronti a fargli una guerra infinita, ideologica, non perché le sue idee siano contrarie alla logica, al vivere civile ma solo perché sono dell’altro devono essere comunque avversate, sconfitte; per una questione di principio!
La situazione italiana attuale è proprio questa: se IO non posso ( perché non so) fare, neanche lui/lei deve poter fare. In una situazione di veti incrociati, che non tocca solo la politica, ma tutti gli strati sociali. il Paese è avviluppato su sé stesso e da decenni è in recessione. Per questo, il vizio dagli occhi verdi genera rancore.
Il rancore unisce il “generale senza truppe” (alla ricerca di un “presidenza al sole”) al “rottamato” (che ha ingurgitato per anni, lustri, decenni, indennità parlamentari, presidenze in aziende partecipate, fosse anche uno “strapuntino”), alla massa sterminata degli “invisibili”, tutti urlano all’assassinio della democrazia se vengono accantonati. Sono tutti incavolati neri e offesi, mortificati, incapaci di esprimere apertamente la propria rabbia ma anche di dimenticare e di perdonare, in una parola rancorosi.
E’ così che il Censis ha dipinto gli italiani, non tutti ma, certamente, una bella fetta, nel 2018.
LA RIPRESA NON BASTA
In questi anni non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e per questo il blocco della mobilità sociale finisce per creare rancore. È un sentimento che nasce da una condizione strutturale di blocco della mobilità sociale, che nella crisi ha coinvolto pesantemente anche il ceto medio, oltre ai gruppi collocati nella parte più bassa della piramide sociale che non hanno ancora ricevuto nulla, mentre i colletti bianchi ed i funzionari infedeli, che hanno rubato a man bassa risorse pubbliche o private, ma pur sempre dei cittadini che lavorano, godono di una sostanziale impunità (vedi il caso delle banche in dissesto economico). Da qui il sostegno all’attuale coalizione di governo: la risposta a chi solleva obiezioni è spesso ”tutti ma non quelli di prima” oppure “lasciamoli lavorare e poi giudicheremo”;
CETO MEDIO IGNORANTE
Gli italiani appartenenti a tutti i ceti sociali pensano che sia facile scivolare in basso nella scala sociale. La paura del declassamento è insomma il nuovo fantasma sociale. Ed è una componente costitutiva della psicologia dei “Millennials”: l’87,3% di loro pensa che sia molto difficile l’ascesa sociale e il 69,3% che al contrario sia molto facile il capitombolo in basso. Non si è favorita la ricerca universitaria, né tutelata la scuola (soprattutto nel prestigio dei professori) ed i titoli di studio che ne discendono, bloccando, di fatto lo studio come “ascensore sociale” a favore dei “talent” in TV. L’Università italiana è diventata spesso, al pari della scuola, uno stipendificio;
ADDIO VECCHI MITI
Nella mappa dei desideri i social network si posizionano al primo posto (32,7%) del nuovo immaginario, poi resiste il mito del «posto fisso» (29,9%), però seguito a breve dallo smartphone (26,9%), dalla cura del corpo, prima della casa di proprietà (17,9%). Il buon titolo di studio, come strumento per accedere ai processi di ascesa sociale, si attesta al 14,9%, convincendo soltanto un giovane italiano su 7.
LAVORO POLARIZZATO
La mancanza di un incentivo allo studio fa sì che gli italiani siano fra i meno istruiti fra gli europei. La percentuale di laureati (in rapporto agli abitanti) è poco più alta di quando mio padre si laureò nel 1935. Girando per gli altri Paesi Europei ti accorgi che la partecipazione ai lavori alla base della scala sociale sono una prerogativa degli extracomunitari (lo spazzino, il postino, il poliziotto, l’autista dell’autobus) mentre da noi sono, in maggioranza, italiani DOC che, privi di un titolo di studio adeguato ai tempi sono alla ricerca del “posto”. Ed in 30.000 concorrono per un posto di bidello. Mentre la mancanza di una istruzione adeguata fa sì che 1 posto (di livello) su 3, offerto in Italia agli italiani, non trovi risposta da parte di un lavoratore,
LA DOMANDA POLITICA
L’astioso impoverimento del linguaggio rivela non solo il rigetto del ceto dirigente, ma anche la richiesta di attenzione da parte di soggetti che si sentono esclusi dalla dialettica socio-politica. E’ questo un fenomeno di sottovalutazione estrema. Nel 2007, a Dresda, davanti al mio albergo si tenne un “flashmob” di AfD ( AlternativefurDeutscheland). C’erano 1 oratore, 10 spettatori ed almeno 100 poliziotti. 12 anni dopo guardate dove si trova AfD!
Tornando all’invidia, l’Italia è uscita dal tunnel, l’economia ha comunque ripreso a crescere bene, trainata dall’industria manifatturiera, dall’export e dal turismo che hanno messo a segno risultati da record, ma questo non impedisce che in parallelo dilaghi il rancore. Che finisce per condizionare la domanda politica di chi è rimasto indietro, ingrossando le fila di sovranisti e populisti. Il fenomeno non è nuovo, ma ora investe anche il ceto medio, la maggioranza silenziosa. Ci sarebbe bisogno di una nuova invidia imprenditoriale, che riprenda quella dei Gonzaga, degli Sforza, dei Medici, dei Borgia e dei Visconti, dei Borbone e di tante altre Signorie e Regni italici. Cos’altro era la corsa a realizzare capolavori dell’architettura, dell’arte e della scienza se non una sana competizione, un’invidia positiva che fece uscire l’Italia ed il mondo dalle tenebre del Medio Evo alla luce di un nuovo Rinascimento? Quell’”invidia”, quella corsa al bello ed al lusso dei “ricconi” dell’epoca ha fatto dell’Italia il più grande contenitore mondiale di archeologia e belle arti, cioè la memoria del tempo. Il più grande patrimonio dell’umanità. INVIDIA 4.0 potrebbe riunire le forze sane del Paese e fornire un minimo comune denominatore, se non se ne trovano altri, ad una nazione (la comunità degli uomini e delle donne) ormai allo sbando da decenni, canalizzando la voglia di fare di tanti imprenditori e di tante persone comuni in un progetto unitario di rinascita.
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