Ritorna il Guccini del 1965 con la sua protesta gridata e la sua speranza. A dimostrare che alcuni valori non hanno colori partitici, riconoscono i disagi di una generazione, combattono, sì, anche in musica, per un’idea di mondo di pace. Dio è morto è cantata da Baglioni e l’ospite Ligabue “Perché noi tutti ormai sappiamo
Che se dio muore è per tre giorni e poi risorge/In ciò che noi crediamo, dio è risorto/In ciò che noi vogliamo, dio è risorto/Nel mondo che faremo, dio è risorto”
La serata è anche questo ricordo di un autore senza età.
Bisio (finalmente) prende in mano il suo talento e la sua libertà e non importa che il monologo sia un capolavoro e parli dei rapporti padre e figlio, è un quadro modulato con i giusti pieni e i rispettivi vuoti. Anche la conduzione acquista scioltezza. Bene l’intelligenza di Anastasio, che interpretava il figlio.
E il festival continua il suo rito, la ripetizione dei brani con l’affiancamento di qualcuno, che nelle intenzioni dia luce e smalto. Raramente il livello della canzone viene esaltata, ma alcuni interventi sono delle conoscenze gradevoli. Ad esempio Irama con Noemi, Ruggeri con Negrita, Ultimo e Federico Moro, Turci e Beppe Fiorello, Enrico Nigiotti con Paolo Jannacci e Massimo Ottoni. Ma la raffinata intensità che Ermal Meta regala alla preghiera di Cristicchi è emozione e commozione. Due sensibilità che cantano la vita. Loredana Bertè e Irene Grandi hanno grinta da vendere per un brano orecchiabile e d’impatto sicuro. Daniele Silvestri e Rancore con Manuel Agnelli danno sonorità nuove, eleganti. Infine da sottolineare il gruppo Einar con Biondo e Sergio Sylvestre perché pulito, giovane. E questa è anche la mia personale classifica.
Vince il duetto Motta e Nada e ancora mi chiedo perché.