Con Zingaretti ritorna il pd comunista

Attualità

Nella giornata di ieri, domenica 3 marzo 2019 si sono celebrate le ennesime primarie del Partito Democratico. Dopo la parentesi renziana conclusosi con le elezioni politiche di un anno fa, Matteo Renzi si è dimesso per la seconda volta da segretario del partito, cedendo il posto al reggente Maurizio Martina. Renzi aveva portato il PD ai massimi storici alle elezioni europee di cinque anni fa (40%) ma, in seguito alla riforma del Jobs Act, della “Buona Scuola”, al patto del Nazareno con il “diavolo” Berlusconi, l’ex sindaco di Firenze venne aspramente criticato dai suoi stessi compagni di partito, con l’accusa di aver tradito il “popolo della Sinistra”. Addirittura si verificò una scissione interna al partito. Inoltre fu abbandonato anche da Berlusconi, co-autore della riforma costituzionale che venne bocciata con il referendum del 2016. In seguito al fallimento elettorale Renzi si è dimesso e al suo posto subentrò in qualità di reggente Maurizio Martina. Nonostante le dimissioni, Renzi si impuntò, nel periodo delle consultazioni post-voto, a bloccare il tentativo, proveniente da più aree del partito (favorevole lo stesso Martina, già ministro del governo Renzi), di costituire una maggioranza di governo insieme ai grillini. Molteplici furono le critiche all’ex segretario per tale invasione di campo, la volontà concreta di andare al governo con i 5 stelle nell’ottica di civilizzare i “barbari pentastellati” era cosa desiderata da più parti.

Attese da un anno, finalmente ieri si sono svolte le primarie del principale partito di sinistra italiano, il quale alle ultime elezioni regionali (Sardegna, Abruzzo) non sembra affatto essere morto come auspicato da molti, ma continua a galleggiare. Questa tendenza è stata confermata ieri, hanno infatti votato alle primarie oltre 1,5 milioni di persone, smentendo le previsioni (forse anche per via del diritto di voto concesso ai non iscritti, minorenni oltre i 16 anni, residenti all’estero ed extracomunitari). Trionfa il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti con oltre il 60%, seguono Martina e l’ex radicale Giachetti. Resta ora da capire che tipo di politica intenderà perseguire il PD con questo nuovo segretario e come saranno gestiti i rapporti tra i parlamentari renziani e la nuova segreteria. Zingaretti infatti più volte si è espresso in modo totalmente critico sulle politiche adottate dal partito negli ultimi anni e quindi sulla stagione renziana. La sua elezione inoltre potrebbe riportare Bersani, Fassina, D’Alema e altri compagni fuggiti da Renzi nel partito. Dunque assisteremo a un vero e proprio ritorno al passato, il PD ritorna ad essere il portatore dei tradizionali ideali marxisti, come nell’era berlusconiana. Dopo la parentesi riformista e centrista di Matteo Renzi, ecco che in Italia la sinistra si riposiziona sulle idee novecentesche.

Altra incognita particolare è il governo, che arranca. Dopo le elezioni europee, i 5 stelle dovranno prendere una decisione, ovvero decidere se farsi succhiare ancora il sangue da Salvini o rompere. L’alternativa ce l’hanno sul piatto: con Zingaretti segretario, l’alleanza tanto desiderata dopo le elezioni del 2018, sarebbe cosa fatta. Temi caldi come la patrimoniale, potrebbero trovare applicazione. A due giorni dal voto delle primarie, Giachetti aveva attaccato il governatore del Lazio: “Zingaretti ha l’obiettivo di arrivare a un accordo con i 5 stelle. E non dimentichiamo che Zingaretti è appoggiato da persone che hanno sostenuto esplicitamente quell’accordo, da Orlando a Franceschini. L’intenzione di fondo, pur mascherata, è quella”. Si avvererà la sua profezia? E Renzi, rimarrà fedele al nuovo segretario o si impegnerà a ripagare con la stessa moneta quanti lo hanno osteggiato durante la sua segreteria?

Andrea Curcio

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