Sono gang o così sono definite. Gang di quartiere per possedere un’identità territoriale, per segnalare un’appartenenza che dà sicurezza, affermazione. Domanda: possono? Con l’obbligo del gruppo che emargina gli altri, conferma un’esistenza che si sta evolvendo. Sono tutti giovanissimi, dai 14 ai 24 anni, provengono dalle zone disastrate della periferia, il loro sogno è postare sui social gesti ed atteggiamenti da duro, maneggiano pistole, sparano da un balcone per ricordare un amico in carcere, perché il degrado da dove provengono non ha creato miti positivi, Ma esibizionismo. Come a voler ribadire che la loro presenza c’è ed è un po’ la resa di un ragazzo che vive nell’abbandono. Sono diventati graffitari per segnalare un territorio, scrivono Z e il numero del Municipio d’appartenenza, sempre per evidenziare che il branco c’è. Ma il loro scopo è formare tante gang territoriali per far nascere una forma associativa fortemente radicata sul territorio. Scrive il Corriere “Per ora non si ha notizia di scontri fisici, ma si moltiplicano sempre più le schermaglie social, soprattutto su Instagram. «Z8 detta». «Affori comanda». «Pugni in faccia» (sulla foto di un tira-pugni d’acciaio). Scritte e immagini che scorrono in una esibizione continua di coltelli, pistole (finte, ma spesso portate in giro), tatuaggi (a volte proprio con la sigla della zona), muscoli, pallottole, collane, orologi. Un maxi contenitore che raccoglie dall’ostentazione gangster del rap statunitense e dalla moda di «Gomorra» e «Romanzo criminale».
E questa è la descrizione di un fenomeno da sorvegliare, ma chiedersi il perché è doveroso, quasi che l’abbandono e il vuoto dei luoghi, avesse contagiato quella umanità.
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano