Fieri di essere italiani: l’eroismo di una realtà che trascende le polemiche giornalistiche

Attualità

Per un momento sentiamoci fieri di essere italiani, con pregi e difetti, ma per un attimo identifichiamoci con la superiorità d’azione e l’inventiva dei nostri carabinieri. Lasciamo nel cassetto le polemiche faziose dei giornali, guardiamo in faccia una realtà che ci rende orgogliosi. Perché, scrive il Giornale “La vera eccellenza è un’italianissima capacità d’iniziativa. Sulla Paullese, come nella notte di Sesto San Giovanni, non c’era il tempo di elaborare piani e tattiche. Bisognava decidere mentre si agiva. Così hanno fatto il maresciallo Roberto Manucci e i cinque uomini che con tre macchine uscite dalla stazione di Paullo e Segrate si son messi sul tracce del pullman individuandolo e creando un artificioso ingorgo indispensabile a rallentarlo e fermarlo. Al successo ha contribuito anche la capacità tutta italiana di ricorrere alle armi solo in casi estremi. Quei sei carabinieri potevano cedere alla tentazione, assai più semplice e meno rischiosa, d’infilare un proiettile nella fronte del senegalese. Ma se il colpo non fosse stato fatale Sy avrebbe potuto appiccare le fiamme. Così per non mettere a repentaglio la vita dei bambini i sei carabinieri hanno messo a rischio le proprie avvicinandosi, parlandoci e distraendo il senegalese quanto serviva per garantire una via di fuga a insegnanti e studenti. Per farlo non hanno potuto affidarsi a mosse o tattiche preconfezionate. In quei minuti decisivi hanno potuto contare solo sulla propria esperienza, sulla propria inventiva e sulla propria capacità d’improvvisazione”

“Tempi” ci restituisce la realtà dei fatti, non l’interpretazione politica delle testate.

Chi ha il coraggio della realtà? Appurato che ci sono in giro più bastimenti di giornalisti ebbri di razzismo e antirazzismo che barconi di immigrati, ecco come sono andate le cose sui media e sulla Paullese. Perché si sa, applicato alle vicende umane, il giornalismo funziona un po’ come quella benzina cosparsa dal signor OusseynouSy la mattina del 20 marzo sul pavimento di uno scuolabus urlando «basta morti in mare» e al contempo «nessuno uscirà vivo da qui». E così, più delle fiamme appiccate al mezzo dall’autista senegalese, anzi no italiano, anzi no italiano di origine senegalese, il fuoco d’artificio delle emozioni divampava in rete, tv ed edicola in base all’appartenenza correntizia.

 BUONI, I CATTIVI, I MATTI

Da una parte c’è quello che Venanzio Postiglione sul Corriere ha già stigmatizzato come «sovranismo ideologico: immigrati, quindi cattivi, ma comunque sono troppi», dall’altra quelli che «Matteo Salvini soffia sul fuoco e poi, ecco, una mente sconvolta quel fuoco lo accende sul serio». In altre parole, per ogni titolo di Libero sul «terrorista coccolato dal Comune anti-Salvini», c’è un tweet di Gad Lerner che lo chiama «cittadino italiano» ammalato di quella follia criminale che è «l’esito di una contrapposizione isterica che manifesta ostilità agli immigrati additandoli come privilegiati, negando le loro sofferenze e la loro umanità».

In mezzo, la demagogia notiziata da Repubblica con Francesco Merlo, che non è d’accordo nemmeno che sia stato un senegalese a tentare di fare una strage di bambini, ma un autista di autobus ammattito perché l’autobus è da sempre l’archetipo del meticciato e «sobilla e rende i matti ancora più matti. Nell’autobus ci sono infatti le emozioni e gli odori, tocchi e guardi i passeggeri che si toccano e si guardano, vedi i bimbi di scuola con le cuffiette in testa e con le scarpe da tennis ai piedi. L’autobus è, nelle città, il luogo dove scoppiano più risse che altrove, il piccolo mondo recluso dove si scatena l’odio contro il diverso che ti sta accanto. Negli anni Sessanta, nell’America di Kennedy, all’inizio dei grandi disordini razziali, all’origine delle rivolte nere e delle leggi speciali c’è una donna di colore, Rosa Parks, che appunto in un autobus non volle cedere il posto riservato ai bianchi. Qui c’è pure, nell’autista nero, un altro stereotipo del razzismo, come nella cameriera nera».

Per chiarezza.

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