Giusto processo a Milano

Attualità

“Il medioevo penale è arrivato”, affermano gli avvocati e i professori delle materie processual-penalistiche firmatari del “Manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo”, presentato ieri pomeriggio in una affollatissima aula della Facoltà di giurisprudenza dell’Università degli studi di Milano.

L’iniziativa è stato promossa dall’Unione delle Camere penali, che ha scelto il capoluogo lombardo per illustrare i suoi 35 punti fondamentali per riportare la discussione sul processo penale e sul diritto penale “ai principi fondanti dell’illuminismo e del liberalismo che hanno caratterizzato la cultura giuridica italiana ed europea degli ultimi tre secoli”. “Dall’attuale logica del rancore al ritorno al garantismo”, affermano i centocinquanta professori di tutte le Università italiane che hanno aderito al Manifesto, voluto dall’Ucpi nel suo ultimo congresso di Sorrento.

“Il populismo di governo si è fatto populismo giudiziario” ha dichiarato Vinicio Nardo, presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano ed ex segretario delle Camere penali, aprendo la due giorni di dibattito che si concluderà oggi con l’intervento di Giandomenico Caizza, presidente dei penalisti italiani. “Il populismo – ha proseguito Nardo – è una ideologia illiberale che sta avanzando velocemente nella società, favorita anche da uno Stato debole nel salvaguardare i suoi principi cardine”.

Sul banco degli “imputati”, il governo del cambiamento e le sue politiche in materia di giustizia. Tutti i provvedimenti dell’ultimo anno a firma Lega e M5S sono stati aspramente criticati dai giuristi presenti. Dalla modifica della legittima difesa, all’aumento generalizzato delle pene, dallo “spazzacorrotti”, che presenterebbe profili di chiara violazione della Carta costituzionale, all’abolizione del rito abbreviato per i reati puniti con la pena dell’ergastolo. Una riforma improntata alla logica della “vendetta”.

Per Carlo Fiore, emerito di diritto penale all’Università Federico II di Napoli, è difficile dare una risposta al come mai alle ragioni per cui si è arrivati a tutto ciò. Una deriva che parte da lontano. Certamente, gli ultimi anni, ha dichiarato Fiore, sono stati caratterizzati da uno “scambio fra una  promessa di sicurezza e un maggior con consenso elettorale”.

“Si sta erodendo un patrimonio culturale improntato da anni alle garanzie” ha puntualizzato Ennio Amodio, emerito di procedura penale all’Università degli studi di Milano.

“Un tradimento della Costituzione con riforme illiberali dominate da un giustizialismo spinto”.

Lo schema nel quale si dipanano le politiche dell’attuale maggioranza gialloverde  sono  “l’emotività, la fine della proporzionalità e il disprezzo della dignità umana”, ha aggiunto Amodio.

“Urge schierarsi senza retorica, per combattere con l’arte del dubbio, prima che sia troppo tardi”.

Il Manifesto vuole dunque essere, per Ennio Amodio “un estintore per spegnere l’incendio dei diritti, per ritornale al giusto processo ed al rispetto delle garanzie”.

Un confronto  con la politica ed il legislatore è dunque indispensabile. Il problema è che bisogna parlare lo stesso linguaggio. In un contesto come l’attuale, caratterizzato da un “profondo degrado anche nel lessico”, per Vittorio Manes, ordinario di diritto penale all’Università di Bologna,   “l’impresa è ardua”.  “Nell’attuale dibattito politico sono sufficienti 50 parole. Molte di meno in quello penale”, ha aggiunto Manes, stigmatizzando il livello del legislatore.

Il Manifesto vuole pertanto proporsi anche come “progetto culturale”, considerato il fatto che il 60 percento degli italiani ha dato fiducia agli attuali partiti di governo ed alle loro politiche in materia di giustizia proseguono i firmatati  del Manifesto.

Il rischio concreto, come ricordato sempre da Manes, è che si arrivi ad avallare anche “la tortura o la pena di morte: la proposta sulla castrazione chimica, in discussione in questi giorni, potrebbe essere il primo passo”.

Per reagire a questa deriva, una possibile soluzione è stata offerta agli avvocati da Nicolò Zanon, giudice della Corte costituzionale. “Sollevate il più possibile questioni di costituzionalità sulle norme”.

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