Si sono fumati la certezza del diritto

Attualità

La sentenza di ieri della Corte di Cassazione mi trova totalmente d’accordo. La legge del 2016, scritta in maniera furbetta per accontentare tutti, ha generato un fenomeno di statalizzazione della droga che francamente è inaccettabile. Propalando, peraltro, una serie di leggende metropolitane in materia da far invidia ai no vax. La sua applicazione, poi, è stata schizofrenica al massimo. Soprattutto nell’ultimo periodo, con negozi chiusi per abusi veri e presunti. Insomma, era una legge che faceva schifo in partenza e la Suprema Corte ha fatto prevalere il buonsenso: no, la legge sugli stupefacenti non è cambiata. Vendere derivati della Cannabis Sativa con “concreto potere drogante” non è lecito.

E questo vale anche per chi ci aveva creduto, sperato e aveva aperto un negozio. Vale anche per chi, in queste ore, continua ad insistere su interpretazioni fantasiose del dispositivo della sentenza. La canapa serve per fare corde. Se vendi le inflorescenze stai infrangendo le leggi, punto. E qui si potrebbe chiudere il pezzo. Se solo non ci fosse, in tutto questo, un problema molto più profondo da analizzare. Per quanto io sia contrario alla vendita con sigillo statale della droga, sono anche un imprenditore. E mi sanguina il cuore per chi ha investito soldi, tempo, speranze e fatica per aprire quei negozi, crearsi una clientela e stare a galla. Molti saranno ancora fuori delle spese.

Molti non rientreranno mai di quei quattrini. E questo perché lo Stato, volutamente, ha scritto una legge male. Lo ripeto, per reiterare il concetto: volutamente. Era una legge acchiappa consenso, senza il coraggio di mettere al riparo la gente che, a torto (secondo me) o a ragione, decideva di intraprendere questo commercio.

Ed è anche la storia di questo disgraziato paese: quando serve un colpevole c’è sempre una partita Iva da far chiudere. Possibilmente con la violenza. Ed è tutto grasso che cola se ci si mette anche la magistratura. Mettetevi nei panni di uno di quei commercianti. Che fare ora? Chiudere? Attendere le motivazioni della sentenza per capire cosa buttare e cosa tenere? Rischiare il carcere?

Questo non è un paese per uomini liberi. Nemmeno quando vengono prese decisioni sacrosante che servono a tutelare l’integrità del tessuto sociale. Quell’arazzo di decisioni individuali di cui parlava la Thatcher, che per esistere devono essere libere e per essere libere non possono essere prese da chi si è distrutto questa capacità con la droga. Ma nemmeno da un sistema legale che prima ti estorce tasse per tre anni, poi ti dà del criminale.

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