Nell’indifferenza generale, Conte parlò

Attualità

Il discorso del Premier può essere efficacemente descritto come il vuoto con le parole attorno. Un compitino sciatto in cui si elencano le cose fatte, ma “non è un bilancio”. Si lanciano strali verso i partner. E si infilano strafalcioni. Il migliore dei quali ci viene servito in apertura: lui dipende dalla Costituzione, su cui ha giurato, non dagli interessi dei partiti. Ed infatti, con la Costituzione si è confrontato, ignorando i partiti. Ovviamente, in una democrazia parlamentare come la nostra il Presidente del Consiglio non ha questa autonomia, non ha questi poteri, non ha questa libertà.

E così Conte si è prodotto nel classico ruggito del coniglio. I cui deboli echi si sono persi nella lite successiva, riportano i giornali, quella sulla sospensione del codice degli appalti. Una tempesta nucleare dice Giorgetti. Che non mangerà libri di cibernetica ed insalate di matematica, ma sembra davvero un titano di metallo di fronte all’avvocato Pugliese che rivendica l’unità di governo come condizione della sua presenza. Superflua come il direttore d’orchestra sul Titanic. No, la metafora non è azzardata. Qui stiamo discutendo sulle colpe della viola di prima fila e del triangolo laterale, ma c’è un problema un po’ più grande davanti.

Un iceberg chiamato manovra che si sta avvicinando a tutta velocità. E la nave non è governata da Conte. Il capitano, per una volta, è il popolo. Che ha appena dato l’avanti tutta. Il popolo ha sete di apocalisse. Di resa dei conti. Vuole le estreme conseguenze, qualunque esse siano. Teme solo la stasi, l’agonia prolungato. Non vuole un dolce autunno, vuole un aspro inverno. È un popolo che si è fatto giudice di se stesso e si è condannato senza appello. Conte non lo rappresenta. Conte lo sa, ma non può far fermare l’orchestra perché, se lo facesse, la viola di prima fila diverrebbe capitano. E non era così che doveva andare.

Mentre la sinfonia diventa cacofonia, il direttore, mesto, abbassa la bacchetta. Non la lascia ancora andare. Ma non manca poi molto. Lo sanno tutti, sulla nave del cambiamento. Lo sa forse anche lui. Lo spread sta prendendo la rincorsa. La crescita del PIL era un errore contabile. L’Europa non è cambiata ed ora attende l’incasso. L’ultimo errore di Conte è non aver accolto la lezione del predecessore non metaforico. Invece di restare in servizio fino all’ultimo momento preferirà andarsene prima. Come un travet qualsiasi alle 16.59 del pomeriggio di un assolato di venerdì di Luglio.

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