Nuovi studi del Centro Cardiologico Monzino e Università Statale di Milano individuano un marcatore di scompenso cardiaco, responsabile anche dell’aggravarsi della malattia perché trasforma il colesterolo buono in cattivo.
Una ricerca condotta da Piergiuseppe Agostoni, Professore Ordinario di Cardiologia dell’Università degli Studi di Milano e coordinatore dell’area di Cardiologia Critica del Centro Cardiologico Monzino, e Cristina Banfi, responsabile dell’Unità di ricerca di Proteomica Cardiovascolare del Centro Cardiologico Monzino, ha scoperto che una proteina rilasciata dai polmoni, SP-B (proteina del surfattante polmonare B), indica la presenza di scompenso cardiaco, ne predice la prognosi e, soprattutto, è responsabile dell’aggravarsi della malattia. Lo studio è stato pubblicato sull’ultimo numero dell’International Journal of Cardiology. Il nuovo obiettivo dei ricercatori è ora sviluppare un esame che, misurando il valore di SP-B nel sangue, renda possibile diagnosi di scompenso cardiaco più precise ed efficaci.
«I nostri studi evidenziano che SP-B non è presente nel soggetto sano, si manifesta nei pazienti con scompenso cardiaco quando c’è un danno ai polmoni. In particolare – dichiara Cristina Banfi – abbiamo riscontrato che maggiore è il valore di SP-B nel sangue, peggiore è la prognosi dello scompenso. Ma c’è di più: abbiamo anche scoperto che SP-B si lega in modo selettivo al colesterolo HDL, il cosiddetto “colesterolo buono”, e lo rende disfunzionale, trasformando le HDL da molecole protettive per l’organismo a molecole nocive». Spiega la ricercatrice: «le lipoproteine antiaterogene, cioè protettive, che costituiscono il colesterolo HDL, legandosi a SP-B per via della loro composizione affine, subiscono modificazioni a carico della loro struttura che ne riducono le proprietà antiossidanti, e dunque protettive. Trasformandosi diventano quindi molecole nocive (aterogene) e contribuiscono così alla progressione della patologia cardiaca».
«Questo studio ha contribuito a scardinare un dogma centrale dell’aterosclerosi, che vedeva nel colesterolo HDL un fattore protettivo, mettendo in evidenza come anch’esso può andare incontro a cambiamenti deleteri – afferma Piergiuseppe Agostoni-. La nostra ricerca rappresenta il tassello più recente di una lunga serie di pubblicazioni sulla proteina del surfattante polmonare di tipo B che portiamo avanti da anni e sanciscono l’importanza di questa molecola come marcatore di scompenso cardiaco e della sua prognosi. È un aspetto cruciale perché nella pratica clinica, ad oggi, non esistono ancora veri marcatori plasmatici dello scompenso e la diagnosi viene formulata con test funzionali, come il test da sforzo, che non sempre possono essere proposti a pazienti anziani e gravemente compromessi. Inoltre, essendo lo scompenso cardiaco una malattia multifattoriale, è difficoltoso trovare un elemento che la definisca e ci permetta di giungere a una diagnosi tempestiva ed efficace. Per tutte queste ragioni – conclude il professore – un test specifico che si possa eseguire sui campioni di sangue rappresenterebbe una svolta».
Spinti dall’entusiasmo dei risultati delle loro ricerche sul legame tra SP-B e scompenso, all’avanguardia a livello mondiale sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, i ricercatori dell’Unità di Proteomica del Centro Cardiologico Monzino sono attualmente già al lavoro per sviluppare una tecnologia moderna per la misurazione precisa della proteina del surfattante polmonare di tipo B nei pazienti con scompenso cardiaco allo scopo di sviluppare un dosaggio diagnostico. Il Centro Cardiologico Monzino ha infatti studiato negli anni l’andamento del SP-B in diversi contesti, sia fisiologici – ad esempio nei sommozzatori o negli alpinisti in alta quota, situazioni in cui la scarsità di ossigeno simula le condizioni di scompenso cardiaco – sia in contesti patologici, per esempio nei portatori di bypass, nelle persone con aneurisma dell’aorta addominale o altre patologie cardiovascolari. Tutti studi che hanno avvalorato l’utilizzo del SP-B come marcatore per seguire l’evoluzione dello scompenso cardiaco e ottimizzare la terapia.
Link allo studio: https://doi.org/10.1016/j.ijcard.2019.02.057
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