Abuso d’ufficio, reato da abolire. Questione di giustizia.

Attualità

Tanti indagati, pochi condannati e comuni paralizzati. Ecco perché l’idea di Salvini è giusta

Il vicepremier Matteo Salvini ha recentemente proposto di cancellare il reato dell’abuso d’ufficio. Levata di scudi immediata da parte di chi gli contesta la spada di Damocle su leghisti eccellenti.

Eppure, fondate e tecniche ragioni di filosofia giuridica e di teleologia normativa, oltre al buon senso, imporrebbero di non accantonare così velocemente la proposta per almeno due ragioni: difficoltà applicativa della norma e statistica insoddisfazione dei suoi esiti processuali. In pratica siamo di fronte al classico caso della montagna che partorisce il topolino.

E un fatto che nelle fasi del giudizio di merito (per tacere di quelle della fase d’indagine) i capi di imputazione per tale reato sono spesso articolati in modo sapientemente generico (sicuramente esplorativo e quindi conveniente ai fini dell’attività investigativa) in modo da garantire un ampio accertamento ricognitivo, ma così lati da trovarne poi prescritto l’esito in Cassazione.

Le analisi interne della Procura di Roma segnalano che la maggior parte (quasi totalità) dei processi per abuso d’ufficio finisce in archiviazione. Lo confermano le rilevazioni di dieci anni della banca dati online della Corte dei Conti: solo 150 le sentenze di responsabilità per il reato di abuso d’ufficio, tra l’altro associato ad altre fattispecie (truffa, falso ideologico, violenza e falsità in atti) che intervengono in suo soccorso per sorreggerne il teorema accusatorio. Una quantità enorme di procedimenti che iniziano a fronte di una quantità infinitesimale di quelli conclusi con condanna. Nel frattempo carriere, vite e famiglie rovinate per coloro che ne escono non colpevoli, dopo lunghissimi anni, spesso ridotti in miseria. Bene che ci si interroghi sul tema.

Il delitto di abuso d’ufficio introdotto nel codice penale del 1930 non giunge ai nostri giorni immutato: interventi modificativi del legislatore ce lo consegnano trasformato prevalentemente da due riforme (86/90 e 234/97). Con ecce arriva la demarcazione del reato rispetto all’abuso di potere sottoposto al Tar (figura sintomatica dell’annullabilità dei provvedimenti amministrativi). Si rende però anche sempre più necessario nel teorema accusatorio l’appoggio ad altre fattispecie criminose per l’indagine, che si complica a dismisura per la prova del conseguimento di un vantaggio ingiusto o il prodursi di un danno ingiusto con dolo intenzionale (non più dolo eventuale). L’accertamento inoltre si dilata a dismisura a discapito del tempo.

LA CASSAZIONE

Ai fini della contestazione del reato il vantaggio, per chi lo commette, deve essere “patrimoniale” cioè qualunque vantaggio suscettibile di una valutazione economica (la cosa più facile e immediata è la contestazione dell’attribuzione di un posto di lavoro). 11 danno, invece, definito come ingiusto, prescinde dall’indagine se sia patrimoniale o non patrimoniale. La Cassazione ha ritenuto che l’ingiustizia del profitto o del danno non possa de plano farsi discendere dal fatto che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio abbia agito in violazione di norme di legge o di regolamento, chiedendo di operare una duplice distinta valutazione (c.d. criterio della doppia o autonoma ingiustizia: violazione di legge o di regolamento, da un lato; ingiustizia del profitto o del danno, dall’altro). Il ventaglio accusatorio necessita quindi di imponenti accertamenti (spesso esplorativi) che solo una tenace e costosa attività difensiva può tentare di arginare.

In soccorso alla dichiarazione del vicepremier Salvini sulla perniciosità dell’articolo così come formulato, e quindi per la sua eliminazione, è intervenuta recentemente Giulia Bongiomo affermando di non aver mai visto condanne di reato di abuso di ufficio nella sua lunga esperienza di penalista. Poco più di un anno fa del resto si era espresso in proposito anche il sindaco di Milano Sala che aveva evidenziato come uno dei mali della lentezza amministrativa risiedesse proprio nel fatto di funzionari pubblici e incaricati di pubblico servizio letteralmente paralizzati dalla paura di essere perseguiti per una loro qualsiasi azione. Ad adiuvandum il reato pochi anni fa ha pure subito un inasprimento delle pene col raddoppio del minimo edittale: «da sei mesi a tre anni» sono diventati «da uno a quattro anni».

In un proprio intervento anche Raffaele Cantone sottolinea che bisogna proprio modificarla questa norma. Se lo stesso presidente dell’Anac – l’Autorità Anticonuzione – ha dichiarato che «il reato va migliorato», e che su questo è giusto ragionare (anche se è contrario all’abolizione del tutto), c’è da chiedersi perché nel frattempo la norma possa essere inopinatamente applicata in danno palese per individui e collettività. Del resto ci sono già altre norme che si possono applicare per sanzionare i comportamenti criminosi, magari avvalendosi dell’aggravante per gli amministratori pubblici.

TEMPI LUNGHI

Andando ad indagare negli atti parlamentari attualmente non si trova nessuna proposta di legge o di modifica recente in proposito, né in questa e né nelle passate legislature. Tutto tace, ma non per indagati e imputati. E se anche si mettesse mano ad una riforma della fattispecie, prima che si studi la norma, si ottengano i consensi di tutte le parti politiche per la modifica e si promulghi una nuova norma passerebbero anni… E a modificare la norma in questo momento di giustizialismo sfrenato si correrebbe il rischio di aggravare ancora di più la situazione. Abbiamo già visto con le ultime disastrose riforme.

Ecco perché, alla fine, non sembra irragionevole quanto Matteo Salvini ha dichiarato a Bruno Vespa a “Porta a Porta”: «Io abolirei il reato di abuso d’ufficio, lo abolirei, perché non posso bloccare 8mila sindaci per la paura che uno possa essere indagato.

Ci sono sindaci che non firmano niente per paura di essere indagati». A fronte del fallimento di una norma che – nonostante sia stata più volte ritoccata – continua a dare esiti insoddisfacenti, la burocrazia e la paralisi amministrativa frenano il Paese, specie nei settori urbanistici e delle opere pubbliche. La paura di firmare atti, aprire cantieri sistemare scuole, ospedali blocca ogni azione. E deresponsabilizza gli amministratori pigri che – con la scusa di non voler sbagliare – fanno arretrare il nostro Paese sempre di più perché incapaci. Togliamo questo alibi e facciamo lavorare cittadini, sindaci, imprenditori e funzionari pubblici.

Nel nostro Paese con la Magistratura che abbiamo non c’è certo il rischio che un amministratore disonesto non sia inchiodato comunque alle sue responsabilità. E i reati sono poi sempre quelli già ben previsti dal codice penale. Piuttosto, appena abrogata la norma, sarebbe il caso di introdurre sanzioni contro l’ignavia nella pubblica amministrazione.

CRISTINA ROSSELLO Onorevole Forza Italia

 

IL REATO E I NUMERI • L’abuso d’ufficio viene introdotto nel 1930. È stato poi modificato prevalentemente da due riforme (86/90 e 234/97). Dal 2008 al 2019 nella banca dati della Corte dei conti risultano solo 150 sentenze di responsabilità per questo reato.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Moderazione dei commenti attiva. Il tuo commento non apparirà immediatamente.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.