All’inizio di luglio la polizia politica, alla ricerca di prove su nuove forme terroristiche, ha trovato libri di esponenti del fascismo e di noti autori di destra risalenti all’ultimo cinquantennio. Negli appartamenti o covi, a seconda di come li si voglia vedere, c’erano anche bandiere militari e di squadre della milizia volontaria, abitualmente chiamate squadracce ma che, piaccia o meno, furono istituti inseriti nell’ordinamento statale. Poi figuravano coltelli e coltellacci ed anche manganelli con la scritta Dux. Mancavano gadget ed accendini con ritratti di Mussolini abitualmente presenti nelle tabaccherie di Latina.
C’era comunque una bella serie di ricordi nostalgici abitualmente in vendita a piene mani da 70 anni in tutte le fiere itineranti o meno del cosiddetto antiquariato di strada misto a cianfrusaglie. Come quella bandiera della marina militare pericolosamente appesa nella camera di un cadetto, visibile purtroppo dall’esterno. Non troppo lontano dal luogo della perquisizione, nei magazzini poco curati di un istituto superiore, l’inventario fatto con anni di ritardo non ha trovato più tre busti del Duce, uno in bronzo e due in gesso, a quanto pare di notevole fattura. A farli sparire in quel caso ci hanno pensato i concorrenti della polizia, cioè i ladri. Intanto su Amazon si vendeva un’applicazione per ascoltare i discorsi del Benito. Per concludere, a scanso di equivoci, la polizia politica ha sequestrato tutto, anche il busto di Mussolini. E viene in mente che l’immagine di quel busto, produzione ovviamente seriale, era garanzia pubblicitaria di note collane editoriali su noti importanti giornali nazionali di proprietà di noti editori. Ci sarebbe da sequestrare decenni di stampa.
Mentre veniva sequestrato il materiale nostalgico, lo stesso giorno la nostalgia vinceva il premio Strega con il grosso tomo titolato M. Il figlio del secolo del napoletano Scurati, ambientatosi ormai da anni nel bergamasco. Questa biografia romanzata del capo del fascismo, limitata al periodo tra la fondazione dei Fasci di combattimento e l’avvio dell’approvazione delle leggi fascistissime, ha il vantaggio di raccontare la fase costruens del Benito, tutta in ascesa, quando egli mostrava maxime le doti di politico. L’autore ha individuato il giusto target su un tema che, pur senza ammissioni, ottiene il favore dei lettori, al coperto della scusa di voler conoscere il nemico.
Certo, appena uscito, il copioso feuilletton aveva mostrato errori madornali, neanche riferiti alla storia del fascismo, ma proprio a quella patria. Tutto nel volume viene storpiato e confuso, i Carducci con i Pascoli, i Croce con i De Sanctis, le tecnologie ed i mestieri esistenti e no, i ruoli, i titoli, le date, non particolari ma fondamentali, fino alla moltiplicazione per dieci del numero dei morti della prima guerra mondiale. Lungi dal far sperare in nuove interpretazioni originali, – recensisce D’Emilio- il bell’Antonio colloca i personaggi storici in azioni sceniche, mosse prevalentemente dall’invenzione contro la verità storica, permettendosi pure di vantarsi di documentazioni inesistenti e di fonti peraltro non citate. L’eleganza dello stile trova fulgido esempio nella definizione di “buco di culo” individuata per il paese di Trecate che ha fatto arrabbiare l’ex sindaco.
Sarebbe stato opportuno ritirare il volume con le scuse di una casa editrice incapace di correggere bozze oltre l’imprecisione. A che scopo però? Chi recensisce non legge, guarda la foto dell’autore che sembra un Pavolini invecchiato precocemente con baffetto Chaplin e cappelli bianchi. E chi edita, si fida delle Università ormai note per i sistemi familiaramiciziali di cooptazione, zeppe di improbabili contrattisti. Il nostro d’altronde non è storico ma filosofo; anzi esperto di una semiologia che intanto spariva, ultima scheggia che invece di Mike, analizza i culi di Bonolis; nemmeno nel frattempo si era dato ai linguaggi della guerra e della violenza, praticamente i due federali, da cui l’interesse per la tematica cialtronamente affrontata. Uno che da ultimo insegna Oralità e Retorica o l’arte del diaframma, non può che avere molto tempo da scrivere romanzi, con timbro professorale.
Si arriva all’epilogo. Come stella brilla l’arte di sistemarsi, ma solo quella, le stesse cose che cialtronamente sono materia da confiscare penalmente assurgono cialtrone, errate e confuse al gotha letterario. Incoraggia che in qualche modo volgo ed elite siano attratti dai medesimi fantasmi pur non comprendendoli in pari ignoranza. Tanto per scandalizzare, si potrebbe notare che la famosa dittaura introdotta nel ’25 fu approvata parlamentarmente da una coalizione di liberali, popolari e fascisti (306 voti favorevoli e 116 contrari); che le elezioni si tennero sempre e che non venne fatto niente costituzionalmente perché non vigeva la Costituzione ma lo Statuto. In una parola non ci furono leggi fondamentali antiparlamentari come nel franchismo.
Per il resto urge sul fascismo l’obbligatorietà della lettura di De Felice, per grandi e piccini, per fiani e soprattutto per i professori, con tanto di lettura pubblica a memoria dei diversi passi. Esentati coloro che non intendono citare il tema.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.