Ambientati nel periodo a cavallo della guerra, i romanzi di Piero Chiara lasciano straniti quanto il clima politico di quegli anni, per altri versi incandescente, vi sia irrilevante. Nulla la presenza o il richiamo a resistenti e loro atti; nulla l’incombenza tedesca, se non per sparuti scontri tra guerra e camera da letto, o americana o loro strascico, poco ingombrante la presenza del regime d’anteguerra, utilizzato dai paesani, semmai, a seconda della bisogna delle loro beghe. Come in Simenon, scrittore della Francia d’anteguerra e collaborazionista, i panorami naturali ed umani risultano intatti da storia e politica, a smentire i lai ampollosi di sciagure di certi tempi, di certi regimi, di certi inferni totalitari. Non c’è regime che tenga per le solite continue medesime passioni umane che si ripetono dovunque. L’autorità e la burocrazia, come dei crudeli e beffardi, appaiono pericolosi per la tendenza a sbagliare conclusioni, a confondere persone e fatti salvo poi scusarsi dopo fallaci reclusioni d’internamento o inseguimenti d’evasi; e sono perennemente prese in giro da un mondo di veri migranti, a passeggio di contrabbando lungo il confine italosvizzerofrancese, che come lo dice lo scrittore di Luino, dà all’Italia del Lago maggiore una patente d’internazionalità.
Veri migranti, non come gli immigrati africani, perché transfrontalieri, tra le sponde lacustri lombardo –piemontesi, lungo i valichi svizzeri e la vicina Francia; i personaggi di Chiara non hanno alcun timore reverenziale verso gli stranieri, alcuni dei quali sono stabilmente concittadini. Come nei paesi vicini, danaro ed economia non sono rilevanti perché cose costanti e naturalmente presenti e scorrono a fiumi solo per giustificare la febbre del gioco d’azzardo. Pubblicati negli anni ’60 e ’80, i romanzi di Chiara risultano estranei al clima politico, di nuovo incandescente, di quegli anni. Tetan, Tolini, Rimediotti Rapezzini, le Tettamanzi, Orimbelli, Paronzini, Mammarosa non manifestano, non si iscrivono, se non da morti. La loro non è mai questione sociale ma solo sessuale, praticata come scopo vitale ed inesauribile, senza secondi fini nemmeno spirituali, come giusto obiettivo naturale dell’elain vital della vita.
Come le cene e le giocate anche il sesso è opime, mansueto, sotto le formalità di ritegno, formosissimo e le donne, anche quelle cui le gioie d’amore sembrano precluse, attendono secondo natura d’essere esplorate per lo scopo loro destinato. Poi la fama dello scrittore si riversò nel cinema, che raddrizzò le storie con enfasi politica come da copione e guardò la vicenda erotica con malizia moravianlattuedesca, con l’occhio alla serratura, con l’enfasi di trasformare le donne vacche in uomini porci. Per dare una qualche giustificazione a questi romanzi tanto pieni di vita banale e scarni di idee si ricorse anche al Decamerone. L’apocalisse di peste tutt’attorno alle vicende boccaccesche poteva ritrovarsi nel contesto totalitario e bellico che faceva da sfondo al racconto di Chiara. Sul lago però fascismo, antifascismo,salò, guerra, fame erano passati come brezza di poco conto, inavvertiti semplicemente. Il paragone non torna.
Chiara rimase però un’offesa nazionale all’eterno neorealismo, un oltraggio per il veneti morti di fame e per i piemontesi mosche cocchiere della patria, un’incredulità per il meridione uscito protagonista dalla guerra indegno e ruffiano più che mai. Data la bonomia del personaggio era difficile contestarlo. Eppure l’Italia di Chiara non poteva essere Italia, senza fame e mandolini, senza emigrati doloranti, senza idealità e mafia. Un paese, il suo, quasi Svizzera, terra di nazisti senza sensi di colpa, concreta, materiale, adialettica, non angosciata dalla noia, apatica anche di fronte alle fortune, abbandonate per curiosità. Senza fretta l’Italia di Chiara crebbe, mentre il resto del paese polemizzava, cercava lo scontro garibaldino tra guelfi e ghibellini, si accapigliava. Sul lago di Garibaldi ci si ricordava soltanto il furto del tesoro della guarnigione austriaca ed il conto non pagato.
Da tempo, annoiata, poco interessata, ironica e placida l’Italia chiariana è giunta al potere; senza insistere solo per la forza e la dovizia dei mezzi; completamente e inossidabilmente osteggiata e incompresa da un’orda infinita di paglietta dominanti ogni comunicazione. Gli uomini di Chiara, anche al potere, si parlano fra di sé al bar, non chiedendo d essere ascoltati, attenti solo ai messaggi dei pochi saggi ancora più secretati di loro. Li entusiasmava solo la guerra d’Etiopia per i bagliori favolistici e mitici d’avventura e non per l’Impero. Ed Alemanno Berlusconi, vescovo anche in quelle terre, morto giustamente in un casino, momento indissolubile della vita cattolica di un tempo, era il loro profeta. Il resto d’Italia, dominata da tempo dai concittadini di Chiara, non riescono a rassegnarsi. Vedranno Singapore? Capiranno Chiara e chi li comanda? .
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.