Fintantochè la divisione tra maggioranza ed opposizione era dettata da Yalta, non ci fu mai stressante richiesta d’elezioni. L’opposizione ben vincolata ad essere tale e destinata ad essere governo solo in un futuro paradiso operaio, ripeteva che l’era sbagliato tutto, tutto da rifare e dalle fondamenta ma non sembrava aver fretta di distruggere per ricostruire. La maggioranza fatta da un gran coagulo di gruppi e semigruppi più contorni e contornini faceva e rifaceva i governi con gli stessi ingredienti ma sempre con sughi nuovi. In attesa di nuove ricette dall’identico sapore, era la cucina parlamentare a brigare per provare un nuovo cuoco tra i tanti fratelli e fratellastri pretendenti.
La scoperta che si poteva essere maggioranza ma anche opposizione fu scioccante. L’idea che si dovesse pazientare tutta una legislatura finché il potere non fosse di nuovo contendibile; attendere cioè che il governante mettesse propri uomini in tutto lo Stato o il paraStato guadagnando un vantaggio incalcolabile, per poi sfidarlo senza aver neanche paradisi da promettere sembrò subito follia audace. Tanto più che le forze in campo non erano più quelle Costituzione. Nuove e resuscitate le une apparivano legate alle destre d’ordine o per lo meno al decisionismo normale in altri paesi ma tanto in contrasto con una legge fondamentale costruita sul diritto di veto anche della forza più infinitesimale. Le altre parti in causa, strana lasagna accomunata delle fazioni guerreggianti la guerra fredda, rivendicavano l’unica legittimità costituzionale, per quanto fossero in odore di patto filosovietico all’epoca in cui il comunismo per forza di potenza, di terrore e di doppiopetto aveva provato l’ultimo slancio conquistatore in Italia e Germania.
In un modo o nell’altro sinistra e destra ora erano fedeli all’ultimo vincitore, l’America e si dichiaravano sue sostenitrici. Venendo meno i contenuti differenziati, non restava che darsi vicendevolmente del mascalzone e del delinquente. Temendo, per l’insano spirito ondivago dell’elettorato, le elezioni come purga devastante. Avuta subito, nel nuovo contesto, una dimostrazione che gli elettori non seguivano i consigli dei buoni dottori, esperti, magistrati, professori e finanzieri, ci si buttò in una melina continua e diarroica che evitò in un modo e nell’altro il voto più o meno dal ’96 al 2001. Dopodiché vecchie e nuove destre governarono ed addirittura tennero per una legislatura.
L’evento più temuto dei draghi delle favole non partorì particolari disastri, né meraviglie. Non ne seguirono leggi liberticide, autoritarismi, guerre, discriminazioni, né tutto quello che era stato paventato. Nemmeno quello che era stato sperato. La tripla camicia di forza atlantica, europea ed eura fece fare al paese più o meno le stesse cose, alcune convenienti, altre no, tutte utili a restar parte dell’Occidente. Nondimeno venne agitata ugualmente la paura di leggi liberticide, autoritarismi, guerre, discriminazioni. All’estero venne raccontato che tutte queste cose fossero in corso; all’interno vennero trovate prove di delinquenza un giorno sì, un giorno no. Sempre con la paura del voto, si arrivò al 2011. Fino ad allora dell’elettore aveva paura la sinistra, o meglio la lasagna delle ex fazioni della guerra fredda; in quell’anno ne ebbe paura il coagulo di vecchie e nuove destre, messe al tappeto dall’alleanza internazionale dei partner atlantici più quarte colonne.
Fra il 2011 ed il 2018 quelli che si erano dati vicendevolmente del delinquente governarono insieme, dimenticando anche fascismo ed antifascismo. Era un po’ un ritorno all’antico, tutti al governo e senza neanche opposizione perché nessuno credeva più ai paradisi. Miracoli del tempo, a forza di stare sotto lo stesso tetto non c’erano più sostanziali differenze né sistemiche né economiche. Le triple camice di forza governavano le cose, come dire, senza timoniere o con timoniere ben disposto. Sembrava che dell’elettore non ci fosse più bisogno. In realtà un esercito di ciompi aveva raccolto la torcia del giacobino tagliagole e mani; e se non alla prima, alla seconda, vinse in nome della legalità, diffondendo il panico tra gli sconfitti. Gli elettori avrebbero voluto i due terzi dell’Italia sconfitta in galera ma come al solito mancavano norme, procedure, anime di buona volontà. Ne uscì un governo strano di quelli che perlomeno sembravano avere avuto meno occasioni per delinquere; un esecutivo con qualche fissa e molti desideri, quasi tutti irrealizzabili.
Oggi siamo alle solite. Il Parlamento uscente non vuole uscire, fa melina prima d andare all’immancabile voto; e senza neanche speranza di pensioni o vitalizi. Come la sinistra per un ventennio ebbe paura del voto, terremoto favorevole alla destra; e poi ne ebbe paura la stessa destra assediata dai ciompi, ora ne è terrorizzata la ciurma dei Masaniello, rapidamente mastellabilizzati. Che temono un voto tutto monocolore leghista che promette tante cose e tutte diverse, ma soprattutto la volontà di deciderle. Non c’è dubbio che molti mesi restano prima del ritorno alle urne. E che, dopo lunga stitichezza, prima o poi la natura imporrà il suo corso. Dopo, il decisionismo promesso si impantanerà tra camicie di forza e opposizione passiva di norme, procedure, anime di buona volontà; oltre la ripresa a tutta banda del coro del dagli al delinquente.
E’ natura della nostra classe dirigente il terrore del voto, del verdetto storico che distribuisce torti e ragioni; è sua natura il compromesso improbabile e impossibile del ribaltamento delle posizioni. L’elettore che vota per una cosa, ne vedrà fatta un’altra; più sarà perciò irato, più sarà rifuggito fino alle estreme conseguenze. Non c’è verso di uscire dal loop finchè non cambi il segno dell’inquilino del Quirinale.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.