Di Maio e la politica dei due forni: si torna alla prima repubblica, altro che cambiamento

Attualità

L’uomo politico più protagonista ed esperto di questa crisi di governo si chiama Luigi Di Maio. E’ l’uomo del partito del cambiamento, vanta il gruppo più numeroso alla Camera e al Senato ed è vittima della goffa mossa di Salvini che ha fatto saltare il governo.

Nonostante il terrore di andare al voto, per evidenti motivi (dimezzamento consensi del movimento, limite dei due mandati), senza di lui un nuovo governo non può nascere. E si badi, non sono solo i parlamentari dei 5 stelle coloro i quali eviterebbero volentieri le elezioni, ma anche renziani e forzisti.

All’uscita dal Quirinale, nel suo solenne discorso, impone alle altre forze in campo i dieci punti programmatici cui lui e il movimento non possono rinunciare, a partire dal taglio dei parlamentari. In quanto primo partito del Parlamento, “sono gli altri a dover convergere verso di noi”.

Per tale motivo ha deciso di non rivolgersi direttamente a nessuno degli attori in campo. Se mi volete amare, bene. Non ha chiuso alla Lega dopo che la stessa ha provocato la crisi di governo. Ma non ha nominato nemmeno lo stesso PD.

Zingaretti ha dato la sua disponibilità ma a 5 condizioni, Di Maio ne ha imposte 10.

Ad ogni modo l’ipotesi di alleanza con il PD sembrava la più acclarata di tutte, ma l’implicita riapertura alla Lega ha complicato significativamente il quadro, complice anche il tono severo e la faccia del presidente della Repubblica, al termine delle consultazioni.

Il linguaggio utilizzato da Di Maio è paradossalmente democristiano, si oserebbe dire quasi andreottiano, grazie alla politica dei due forni. Nel suo discorso non ha scontentato nessuno ma ha affermato la centralità del movimento e della sua leadership.

La grande facilità con cui di Maio passa dalla lega al Pd è formidabile. Nemmeno fossimo alla prima repubblica.

Nel 2013 all’indomani delle elezioni PD e Forza Italia furono tacciati di inciucio poichè costituirono un governo insieme, salvo poi rompersi dopo un anno.

La facilità con cui Di Maio passa dalla Lega al Pd è invece un’abilità politica da invidiare.

Di Maio è il politico del cambiamento, ma ci ha riportato indietro alla Prima Repubblica.

Andrea Curcio

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