L’Italia dei conti che non tornano

Attualità

Questa è una storia di numeri, numeri che dicono cose che non ci si vuol sentir dire. Dati che parlano a tutte le forze politiche. E politici che ascoltano solo i report di Facebook ed Instagram per decidere cosa fare. Con i risultati sotto gli occhi di tutti. Quattro storie, una morale: i conti non tornano. Fermatevi, prima che sia troppo tardi. Tornate alla realtà e alla concretezza.

Di Maio e la Corte Vuota

Su lo spread, giù la borsa. Un partito trattenuto a stento da Fico per il linciaggio. Su quanti uomini può davvero far conto Giggino? Non è chiaro. Ha dalla sua sicuramente i ministri, che lo difendono. Ma nelle Camere? In particolare, al Senato, quanti Dimaisti sono pronti a rinunciare alla poltrona, probabilmente per sempre, pur di non perdere la carega al capo? L’ala Leghista del Movimento sogna, sogna un ritorno con un Salvini umiliato e Di Maio presidente del Consiglio. I numeri sono contro di loro? Peggio per i numeri. Ieri sera Di Maio, dopo le consultazioni, si presenta davanti ai giornalisti. Inspira. Guarda in Camera. Spara. E all’inferno i numeri. Non morirà da solo. Il Bibbitaro non se ne andrà in silenzio. O da solo.

L’Istat ci casca ancora

In un paese del tutto desensibilizzato capita che l’Istituto nazionale di statistica dica, con disarmante nonchalance: “Ops, scusate, ci siamo sbagliati”. Non è affatto vero che la recessione si è arrestata. Non che sia la prima volta. Le era successo anche prima delle Europee. Erano stati diffusi dati incoraggianti. Immediatamente usati dal governo del cambiamento. Tanto le smentite non le legge mai nessuno. E nessuno che alzi la mano e dica che, forse, il presidente dovrebbe delle scuse al pubblico. Magari, azzardo, pure le dimissioni. Se il tuo mestiere è analizzare non puoi sbagliare due volte su due. E sempre in eccesso, sempre quando serve al governo e sempre al momento giusto. A Luglio, per esempio, dando l’assist alla rottura a capicollo di Salvini. Dopotutto i dati erano stabili, no? No, non lo erano. Ma, dopotutto, chi volete che li guardi i numeri. Anche se sbagliati, l’importante è che arrivino puntuali.

Salvini e le Alleanze

Lui non ha bisogno di nessuno, urla dall’ennesimo palco. Lui otterrà i pieni poteri. Da solo. Al massimo con la ruota di scorta, che è ormai sempre meno distinguibile dalle altre. Dopotutto Matteo è sempre lui, quello che voleva il voto a Settembre. E che, se il suo amico Giggino gli farà l’assist della vita, lo avrà forse a metà Novembre. In tempo per consegnargli l’aumento dell’Iva. Sempre che, ovviamente, sbaglino tutti gli istituti di sondaggi che lo pesano, insieme alla ruota di scorta, sotto il 40. Sempre che il popolo del non voto, quello che non ha la passione masochista delle urne annuali, non si compatti e gli voti. Potrebbe vincere facile, se ascoltasse i numeri e ricompattasse l’alleanza. Ma chi se ne frega dei numeri. Lui ha i mojito ed il Cuore Immacolato di Maria.

Alla fine di queste tre storie, cosa dovremmo fare o sperare, come liberali?

Se i numeri condannano anche noi, se non abbiamo speranza, soli ed abbandonati, allora che la nostra sia una dipartita memorabile. Senza speranze di gloria cade l’esercito dei garantiti. Non servono fedeli esecutori di ordini. Possiamo, liberi finalmente dal pregiudizio di governo, di schierare i sognatori, i rivoluzionari, i liberali, le voci del territorio.

Possiamo liberarci da tutto. Un’ultima carica, con il sole pallido d’autunno che benedice la battaglia della vita. Niente più rassicuranti menzogne. Niente più corsa alle sparate paraboliche. Dritti al punto. Taglio di spesa e taglio delle tasse. Italia del merito, non del concorso. Controllo dei contribuenti, non della burocrazia, sulla spesa. Federalismo. Autonomia. Libertà. Economica, educativa, di impresa. Responsabilità e fedeltà ad un ideale. Poi cali pure la notte, la nostra parte la avremo fatta. Prima del tramonto, ascoltiamo i numeri e prepariamoci alla battaglia sul campo dell’onore. Non abbiamo nulla da perdere, se non quel sudario di miseria intellettuale chiamato sovranismo.

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