Anche ieri, una giornata di ordinaria violenza, spesso senza una giustificazione logica, con un fil rouge di disperazione probabilmente prodotto dai tempi che attraversiamo. Sullo sfondo la gioia dei Rom per un Salvini dimezzato, quella ruspa per il momento allontanata, per quel senso di impunità come diritto. Sì, una giornata che fa scorrere i pensieri, per una vita, ad esempio, che non c’è più. E non si conosce il perché. Hanno trovato un uomo, un albanese, impiccato con la cintura che usava per i calzoni nel parco della Resistenza. Pare sia una determinazione volontaria, pare non fosse noto alla polizia. Era là appeso ad un albero, a nove metri d’altezza, morto già da circa otto ore. Pare non avesse una residenza o un domicilio, uno dei tanti a cui Milano, la civilissima Milano non ha offerto la speranza. Aveva 35 anni, forse viveva in strada, forse la stanchezza di quel continuo cercare ha detto basta. E rimbombano al campo Rom di via Monte Bisbino i festeggiamenti dei nomadi che hanno costruito una casa senza diritto, che volevano la morte di Salvini, che vivono, per loro ammissione, di furti. La “zingaraccia” docet. Vivono tra rifiuti in decomposizione e fabbricati fatiscenti, hanno coltivato sogni alla faccia delle regole e dei residenti, hanno ubriacato la vita di desideri, non importa che non siano legali. Quell’uomo, cadavere tra gli alberi, probabilmente è la resa della dignità che non si spezza. Anche questa è una fotografia di Milano.
Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano