La 20 squadre di Serie A nel loro complesso hanno prodotto maggiori revenues per € 131milioni con il fantastico incasso pretasse di 2,4 miliardi e plusvalenze per 731 milioni; hanno però anche registrato uscite da baratro per quasi 3 miliardi di uscite. Le vicende dei singoli club sono molto diverse, si va dal buon attivo del Torino dell’avaro Cairo all’attivo di Fiorentina, Lazio e Atalanta, dal rosso di 20 milioni di Inter e Juve, dal grosso ammanco del Milan (126 milioni) fino a quelli delle altre 8 società debitrici. Ed ora si sa che i conti troppo in disordine fanno rischiare addirittura l’iscrizione ai campionati. D‘altronde i soldi attorno al calcio girano a velocità folle sul mercato dei moderni gladiatori, su quello borsistico e su quello delle scommesse che da solo, a lato vale molto più dei bilanci ufficiali. Questi ultimi coincidono per il 90% con diritti tv e pubblicità. Il resto è noia, folklore e contorno. Non è certo con i biglietti allo stadio che si costruisce un bilancio o si compra un campione.
Quando l’alternativa era il cinema varietà e la comitiva ti trascinava alla partita era ovvio andare allo stadio, anche se ne erano note la scomodità dei posti a sedere, la scarsa visibilità del campo, la difficoltà di raggiungere le toilette, il costo esagerato delle tribune dove si siede e vede bene, con un bagno non distante km. Oggi le alternative sono un milione e si segue lo spettacolo calcistico meglio sullo schermo assieme ai milioni di spettatori del mondo che pagano belle cifre per vedere Premier League, Liga ed anche i nostri. Negli ultimi anni seguendo tendenze e spesso problemi degli inglesi e di altri paesi, sono divenuti problemi centrali nella vita degli stadi, l’alcoolismo, il Daspo (Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive vigente dall’89, misura che ricorda i confini temporanei di un tempo) e l’antirazzismo.
Qualche anno fa l’Osservatorio su Razzismo e Antirazzismo (non chiaro se specialistico per il settore) fece la solita carrellata punitiva mettendo all’indice ben 16 tifoserie, contando 118 episodi di razzismo il più delle volte razziale, talvolta territoriale. Pochi stadi poi sono stati veramente puniti per i casi più evidenti che in generale hanno riguardato campioni di colore della squadra avversaria mentre, guarda caso, nella propria la compagine nera era anche più numerosa. Il livore contro l’avversario, talvolta nemico, calcistico non ammette le cose che si perdonano ai propri ed agli amici, come un credo politico indigesto o un colore della pelle. Anni fa gli antijuventini cantavano una canzone ignobile sullo scomparso calciatore juventino Scirea e non era questione di colore di pelle ma di maglia. E qui si capisce che questo tipo di razzismo da stadio è abbastanza flebile e sottoposto non al ricatto degli striscioni da stadio, ma da quello dell’epoca mediatica in cui viviamo che spesso non permette per esempio di parlare serenamente delle donne, dei gay, delle altre razze. Di Daspo sportivi ne sono stati distribuiti a centinaia spesso con criteri e motivi diversi, non dovuti a violenze, con l’intervento dei Tar che li hanno annullati.
Su tutto ciò è calata improvvisamente una manovra tra il bellico ed il filmico, tra invasione dell’Iraq e Mission Impossible che ha riguardato la Juve ed i suoi tifosi. Svariati corpi delle forze dell’ordine e numerose procure forti di ben 225mila intercettazioni sono calati in 6 regioni e 14 città per debellare la la nuova forma di terrorismo pallonaro. In ben due operazioni di respiro nazionale (Alto Piemonte e Last banner) Hanno individuato le nuove Brigate (Drughi, Viking, Curva Scirea, Tradizione Umberto Toia, Nucleo 1985, Quelli di via Filadelfia e l’allusivo N.A.B. Nucleo Armato Bianconero) e nell’ambito di 39 perquisizioni che hanno fatto trovare striscioni, stendardi, magliette, gli immancabili busto del Duce e bandiera nazista e hanno infine fermato 12 capi e 37 gregari del tifo juventino, accusandoli della minaccia di cori razzisti, dell’impedimento a tifare per gli altri tifosi e del rastrellamento di centinaia di biglietti (comprati a quanto pare legalmente da rivenditori). L’analisi delle accuse gravissime rivela, ad uno sguardo più profondo, la pretesa per ogni partita di 25 biglietti gratuiti, di decine di consumazioni, di inviti a feste postpartita, oltre alle intimidazioni per l’occupazione degli spazi della curva Sud dello stadio dell’Olimpico torinese. Le accuse, in fondo del livello di rissa, per ora hanno prodotto soprattutto Daspo decennali e c’è da dubitare che su queste basi possano condurre a grandi condanne dei Mocciola e degli altri, già consegnati colpevoli alla pubblica opinione.
Le operazioni in grande stile da budget milionario appaiono soprattuto utili al buon nome della Juve, società quotata in Borsa. Le accuse di coltivare una tifoseria ndranghetista fatte da Report, il suicidio del capo tifoso Bucci nel 2016, quello dell’orribile striscione che augurava Superga agli avversari, avevano fatto scattare campanelli d’allarme. La società ha ammesso di concedere da anni i privilegi sopra enumerati, vere briciole per il colosso bianconero nel contesto della poca cosa che è il valore economico dello stadio, ad una 50ina di persone ora cacciate a malo modo. Appare irreale la minaccia ricattatoria da coro ad una società cui per ridimensionarla sarebbe bastato un buon servizio di guardie giurate e di steward. La Juve di Agnelli voleva – e sembra aver ottenuto- però farsi ritrarre come vittima prevaricata; voleva la grande azione poliziesca, quasi al suo servizio, e l’ha avuta; voleva essere distinta dal suo popolo, che però non può essere altro di quello che è. Non sarà il blitz a riportare le famiglie allo stadio (che in contesti più vivibili di provincia ci vanno comunque); nè sarà il blitz a imporre alla gente la deontologia mediatica. Resta un gusto amaro per la disponibilità di informazione e giustizia, e l’impressione di sporco sul calcio e sulla bandiera bianconera, sempre più solo nera.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.