Partiamo dalla fine. L’ultima delle Giornate del Lavoro della CGIL si chiude in maniera diversa dal solito. Non Bella Ciao, ma Africa di Toto. Qualcuno, con una irriverenza che mi sento di condannare e da cui ogni sincero democratico dovrebbe prendere le distanze senza timidezza, potrebbe dire che a sinistra si sia ormai stabilmente passati da Bella Ciao a Sciao Bela. In ogni caso, una modificazione, più o meno genetica, è innegabile. E non per lo spartito finale, ma per il dibattito iniziale. Con Conte è una intesa di amorosi sensi. Non sai mai esattamente dove finisca Landini e dove inizi Conte. È la prima volta dal 96 che un premier conta talmente poco che può andare impunemente a fare promesse davanti ad una platea di sindacalisti. Sicuro oltre ogni limite che dei fallimenti risponderà qualcun altro.
Repubblica nota una serie di differenze antropologiche tra Conte e Landini. Meno male che lo fanno loro, se lo avesse scritto Il Giornale sarebbe partita una lapidazione dei cattivi classisti. Secondo me perdono però un dettaglio fondamentale. Landini è massiccio. Io non concordo con alcuna delle sue idee. Conte nemmeno probabilmente, ma lasciamo perdere. Però gli riconosco la concretezza del sindacalista. Numeri, cifre, risultati da portare agli operai. Gente seria, con problemi reali. Ecco, questa persona, figlia di mille lotte (la maggior parte, ahimé, vinte) è seduta vicino alla vaporosità incarnata. La totale assenza di sostanza, che consente di assumere qualsiasi forma si voglia. Conte il transformer contro Landini l’operaio. Davvero ci stupiamo che fosse il secondo a dare la forma al primo?
Ovviamente, la seconda cosa che non dovrebbe affatto stupire è che, alla fine di tutto, non sia stato detto nulla di concreto. Per esempio, come coprire il taglio del cuneo fiscale. Oppure cosa voglia dire riqualificare la produzione industriale al Sud. Non era la sede, d’accordo. Ma era anche la prova matematica che Conte stava solo improvvisando. Perché le responsabilità, ed i numeri, li ha in mano Gualtieri, che io mi immagino chiuso in uno sgabuzzino a piangere. Tolte le tasse vendicative, che poi sono la classica idiozia green con cui i paesi seri evitano di evirarsi industrialmente, per fare qualcosa per l’ambiente restano solo gli interventi pericolosi. Tipo distruggere il poco tessuto produttivo rimasto, riconvertendolo in qualcosa di insostenibile economicamente.
Ma al quasi compagno Conte non interessa nulla. Lui recita a soggetto. Se gli dicono di tassare la Nutella, lui ripete che le merendine sono il male assoluto. Se Coca Cola chiama e ricorda che quella che beviamo viene interamente prodotta qua, ed ogni tassa costerà posti di lavoro, lui si adatta. Smette di parlare di tasse e dice di voler tagliare il cuneo. Se poi qualcuno gli chiede di una vicenda interamente svoltasi sotto i suoi occhi, come Whirpool lui, semplicemente, non sa rispondere. È corretto e giusto così. Mica fanno seguire a lui i dossier importanti.
Lui è vaporoso. Signorile. Lui è un quasi compagno, che ai plebei dà ragione a prescindere. Tanto mica deve mantenere le promesse. C’è sempre un ultimo soldato, si chiami Tria o Gualtieri, a combattere in trincea nelle guerre che dichiara lui. Mentre il Marchese del Conte sposta la propria nuvoletta rosata al prossimo convegno. In cui sarà d’accordissimo con l’interlocutore. A prescindere.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,