E’ al potere il governo più meridionale di sempre. 12 su 22, incluso il presidente del Consiglio, equivalenti al 55% dell’esecutivo, (50% per cento considerando solo i ministri con portafoglio) provenienti in quattro dalla Campania, tre dalla Sicilia, due cadauno da Basilicata e Puglia. Come ai tempi dei governi Dc di Colombo, Andreotti, e Rumor. D’altronde è ovvio che, se il centrodestra è escluso, cada la percentuale settentrionale (nei governi Berlusconi II, III e IV tra 2001 e 2011 c’erano 8 e 9 ministri lombardi, che nel Conte I erano 7) con buona pace del sindaco Sala che ha storto il naso, Milano è fuori dal governo.
E’ la storia dei ministri però a raccontare la vicenda del Sud; quasi tutti sono venuti al Nord a studiare qualcuno proviene dal lavoro più diffuso al Sud, quello pubblico, quasi tutti hanno svolto una camaleontica attività di portaborse, anche non pagata (come Fioramonti per Di Pietro), presso politici dall’indirizzo anche opposto. Si nota una tendenza alla fedeltà più paesana che partitica; i passaggi da una vicinanza politica all’altra si caratterizzano per comuni origini territoriali. Qualcuno è più famoso, come Speranza o Boccia, ma anche loro sono emigrati per studi da Potenza a Roma e da Bisceglie a Milano. Qualcun’altra non ha studiato come la Bellanova ma ha fatto una lunga praticaccia in Cgil tutta da tradire in politica. Provenzano, il giovane ministro proprio per il Sud, siciliano, si è laureato a Pisa ed ha portaborsato per governatori e ministri Pd per poi occuparsi di ricerche nell’ente che è il moncherino degli enti pubblici nati un tempo per industrializzare il Mezzogiorno. Il campano Spadafora, ministro per lo sport, ha portaborsato per Mastella, Verdi e Margherita fino a trovare rifugio al’Unicef. La prefetta Lamorgese, vinto il concorso, ha salutato Potenza per Varese, Milano e Venezia occupandosi dello strategico settore del personale, storico settore a dominazione femminile, fino alla segreteria per Alfano. Il siciliano Bonafede si è laureato a Firenze, dove ha messo cappello incontrando anche l’effimero premier Conte il quale dal paesino di trecento abitanti di Volturara è risalito fino a Roma e poi a Firenze facendosi apprezzare nell’ambiente renzissimo della città, tanto a brigare un’elezione prima di quelle celebri. Non tutti i meridionali sono però furbi, intelligenti ed intraprendenti. Ci sono anche i miracolati, fra cui Gigino di cui si è detto ormai tutto. Il tarantino Turco era stato eletto per chiudere l’Ilva. La catanese Catalfo che cercava lavoro come formatrice senza laurea per trovare lavoro ai laureati, è stata rieletta, apprezzata dai vertici del movimento pentastellato. C’è anche l’unico meridionale che sia rimasto ad operare nel Sud, il militare napoletano Costa cui non interessano i colori politici. Finora ha lavorato con i Verdi, la Lega ed il Pd.
C’è un fil rouge in tutto ciò, la raccomandazione della mamma siciliana all’adolescente La Malfa, Vattene al nord. Una disillusione di fondo su una partita persa, quella del Sud, in partenza. Non si discute qui dell’importanza della conoscenza di altri luoghi, né del diritto dell’emigrazione culturale. Impressiona però che i meridionali non tornino, non tornino mai. Così come quelli al governo, anche tutti gli altri. Con le regioni meridionali che finanziano le partenze. Proprio l’ente di Provenzano informa che i meridionali derubricati negli ultimi tre anni sono stati ca. 130mila annui, l’equivalente di una città di provincia, composta per un terzo da laureati, per metà da giovani qualificati. In 15 anni dal Mezzogiorno se ne sono andati, al netto dei rientri, in più che 2 milioni, soprattutto dai piccoli centri sotto i 5 mila abitanti, come il luogo natale del premier. Se ne vanno i meno furbi, intelligenti ed intraprendenti ed anche meno miracolati. Malgrado diminuisca il denominatore non migliora il mercato del lavoro.
Al Sud ci sono 3 milioni di occupati in meno rispetto al Nord. Sicilia con il 44% di occupati, la Campania con il 45%, la Calabria con il 45,6% e la Puglia con il 49,4% non sono le massime regioni europee della disoccupazione solo perché Eurostat considera europeo un pezzo di Madagascar. L’Italia in stagnazione del 2019 si traduce con il Centro-Nord che cresce dello 0,3% ed il Mezzogiorno che decresce della medesima percentuale, con tanto di Reddito di Cittadinanza, che nel 2019 rappresenta un 0,14% di Pil. Non basta spopolarsi, non basta perdere o non trovare lavoro; il lavoro in nero (8% del totale) è sempre in grande spolvero con ben un 1,3 milioni coinvolto per circa 23,7 miliardi. Ed il risultato è, come sempre, il vituperato problema del Pil, quello che, per dirla alla Fioramonti, non conta un granché. Il Sud dal 2008 ha perso l’8% del Pil che già alla partenza era basso. In dieci anni gli investimenti al Sud si sono ridotti di oltre il 36%, soprattutto nell’agricoltura e il fatturato delle microimprese è decresciuto del 13%. Per pudicizia con il Sud si esprimono di solito le percentuali, mai i numeri assoluti perché fanno paura. Su € 1836 miliardi di Pil nazionale, infatti il Sud in 7 regioni contribuisce con 326 miliardi (Campania 106, Sicilia 86, Puglia 62, Sardegna 33, Calabria 28, Basilicata 11, Molise 6). Il costo di cinque anni di Antimafia.
Pur con i migliori propositi, il governo del sud ora non trova la manciata di miliardi che corrisponde allo 0,07% sulla spesa garantita dello 0,47% del Pil dello stesso Mezzogiorno per il ‘14-‘16, cifra che manca per ottenere da Bruxelles l’importo dei fondi strutturali. E la Commissione minaccia di ridurre i fondi strutturali per il resto del periodo fino al 2020. Le ricerche non hanno mai prodotto gran risultati, in particolare sul Sud. Stavolta però potrebbero far scoprire che il gioco non vale la candela. La capacità di spesa dei fondi europei, sotto governi regionali di destra e sinistra non supera mai il 4%; inutile bloccare altri miliardi in attesa. Difficile allora che il Ministero per il Sud serva a qualcosa. E si spiega il gran entusiasmo per la trovata di Mr. Conte che ha chiesto al’Ue uno Statuto speciale per il Sud Italia. E’ l’uovo di Colombo, omologo alle gabbie salariali chieste a suo tempo dal Bossi. E’ fin dai tempi dello Statuto albertino che il Sud non regge la legislazione unitaria aggravata da quella prodotta specifica per il Mezzogiorno. L’Europa la respingerà come sempre in mancanza di un confine specifico; rendere speciale tutto il Sud come le isole probabilmente aggraverebbe il problema.
E’ ingratitudine in fondo parlare di indifferenza dello Stato nei confronti della questione meridionale. Negli ultimi trenta anni sono stati erogati sussidi a fondo perduto per decine di miliardi a sostegno del sistema produttivo (lg. 488\92, fondi strutturali, europei ecc.). Accetturo e de Blasio, in Morire di aiuti hanno documentato il fallimento totale per ricaduta economia e occupazione. Il risultato sono stati solo gli effetti negativi di una burocrazia parassitaria, una diffusa corruzione e di contiguità con l’economia illegale. Paradossalmente il Sud, andato avanti a forza di aiuti, ha votato in massa un Movimento nemico giurato proprio di parassiti, corrotti ed illegali. I nuovi eletti hanno spostato gli aiuti dall’economia ai consumatori, accettando implicitamente l’inutilità dei tentativi di sviluppo e spostandosi in aiuto del 24% e del 26% delle famiglie in condizioni di povertà nel sud e nelle isole (media nazionale 7%). 752 mila famiglie meridionali, su 1 milione di richieste, hanno usufruito del RdC, reddito di sostegno ai meno abbienti, che non sconfigge la povertà ma che è già presente in tutt’Europa, a parte la Grecia. Per il resto, dal periodo degli aiuti è rimasto comunque uno Stato che ha affidato l’affidabile ai meridionali, dal mezzo milione di forze dell’ordine, a 13 mila magistrati, ai prefetti, ai militari, a gran parte della pubblica amministrazione. Più che indifferenza pubblica, bisognerebbe parlare di quella dell’economia autoctona privata in territori dove solo le grandi associazioni criminali eredi di camorra e mafia continuano a coprirsi di gloria e successo, specialmente nella globalizzazione che è proprio nelle loro corde.
Di fronte ai ministri ed alla classe dirigente meridionali non stanno dunque in realtà le emergenze surriportate, spopolamento, disoccupazione, recessione, illegalità, Pil sotto zero, marginalità e alla miseria divario tra sud e centro-nord. Sta l’unico problema sostanziale di mantenere un tenore di vita più o meno (più meno che più) analogo in tutto il territorio nazionale, quando il Pil procapite è di € 40mila al Nord e 20mila al Sud, anche per evitare, come si nota già oggi dal caso Roma, che la parte più povera trascini nel baratro pure la parte oggi benestante. Chiudere ospedali, università, teatri, ecc., che un terzo del Paese non può permettersi, aumenterebbe il problema, riducendo stanziamenti che in gran parte servono a sostenere occupazione. Ridurre il numero di dipendenti meridionali nei settori pubblici, dal livello più umile al Quirinale, se rappresenterebbe un balzo di efficienza, acuirebbe sempre il problema occupazionale. Anche la legalizzazione di certe irregolarità nei settori del lavoro, degli appalti e nella distribuzione non farebbe altro che far entrare nell’economia nera un pezzo di quella sana. Questo non vuol dire che cose utili non possano essere fatte.
Utile sicuramente sarebbe centralizzare la progettualità basata sui fondi europei per un loro impiego completo. E meglio ancora sarebbe ricontrattare con l’Unione il sistema progettuale, poco consono all’Italia. Piuttosto che dare 18 miliardi e riceverne la metà, si potrebbe uscire del tutto dai meccanismi. Il Sud ha bisogno di grandissimi progetti, come quadruplicare la rete ferroviaria, tipica questione da affrontare centralmente e non di decine di migliaia di piccoli plan che non vedono la luce. Qualunque via si prenda, però, dovrà essere protetta da magistratura, Tar e Consiglio di Stato, affidando l‘insieme totale degli appalti a imprese pubbliche o svizzere. O all’esercito, così di tutto si occuperebbe la magistratura militare che non è divisa in correnti. Molto utile sarebbe colonizzare la legislatura locale del Sud con le norme del Lombardo Veneto in modo pedissequo; come anche ridurre gi enti locali ed i Parchi cancellando quei 5mila comuni di cui prima si diceva, sempre salvando l’occupazione. Ed anche commissariare le assemblee sotto un certo livello di Pil, come già si è fatto con le squadre di calcio. Oppure, tutto a rovescio, anche rendere il Sud problema europeo, ridandogli un’autonomia simile all’indipendenza, il che sarebbe un bell’esempio anche per la Catalogna.
Fintanto che il Sud è territorio nazionale, più di tutto bisognerebbe trovare il modo di portarci un milione, anche mezzo di settentrionali di tutti i ceti e gender, così da fondare una nuova enclave, che ovviamente dovrebbe essere tenuta divisa dal contesto regionale, in regime di aphartheid economico. Un pezzo di Nord che ammorbasse il Sud verso la mostruosità della buona economia. Dovrebbero essere della partita i ministri meridionali. E tanto basta per rendere l’idea, utopia.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.