Gambetto alla turca

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A ben guardare, è in corso una pantomima diplomatica militare. Non è neppure vero che l’Italia e l’Europa siano irrilevanti come pensava il nostro M.re Le President.

Dunque, Assad, l’ultimo presidente legittimato dal voto, si è ripresa quasi tutta la Siria. Anche i nostri telegiornali lo balbettano, a mezze parole, non mancando ogni tanto di ricordare le accuse mossegli di stragismo, perché le telegiornaliste, signore dabbene,  non fanno cadere, tutto d’un tratto,  i sermoni, anche se datati, degli alti sacerdoti dei media e della diplomazia. Assad, ormai non si discute, è tornato sovrano delle sue terre e non farà la fine di Saddam e di Gheddafi.  Questa è l’unico risultato evidente  dopo dieci anni di inutile guerra civile, un milione di morti, più di dieci di sfollati.

Assad, fino a due anni fa indicato come un criminale alla Milosevic, è lì, inamovibile. Chi lo voleva buttare giù, all’epoca delle rivoluzioni web in terra mussulmanam ha fallito. L’Occidente tutto ha fallito, perché, purtroppo quando si muovono Usa, Uk e Francia, la responsabilità è anche del resto dell’Europa e della Nato, dove non c’è mai segno di una discussione democratica. Assad doveva andare giù per mano obamiana e fantomatici rivoltosi web. Che poi sono divenuti l’aggregato paratalebano che si è fatto chiamare Daesh. Come già avvenuto, in Afghanistan, il popolo locale finanziato ed armato per battere il nemico (ieri Breznev, oggi il partito bath siriano) si è rivoltato contro la mano finanziatrice.

La Russia presente sulla costa e sostenitrice storica della dinastia Assad, ha messo i suoi uomini sul campo in quantità sufficiente da liquidare la minaccia seria del Daesh. Una volta, dominatrice militare del campo, ha garantito la vittoria di Assad ed ha liquidato l’influenza occidentale, un tempo padrona del territorio, con un colpo da maestro, l’intesa russoturcoiraniana sul destino della Siria ( che coinvolge anche i destini dei gasdotti verso l’Europa). Turchi ed iraniani sono le due potenze musulmane (distanziati egiziani e sauditi) che vogliono un futuro stabilizzato e deoccidentalizzato di Siria e Iraq. L’Iraq, ormai diviso sostanzialmente per territori, nazionalità e religione, non è più un paese da tempo ma solo una patata bollente di cui gli Usa non sanno che fare (a parte tenersi il controllo dei pozzi).

Non si vedeva dal 1922 una strategia mediorientale che escludesse così l’Occidente. Incredibilmente l’occasione è stata l’occasione di un riavvicinamento storico tra Mosca ed Ankara, due popoli che hanno costruito in cinque secoli di guerre un muro invalicabile di odio e sangue. La Turchia, alleata dell’Occidente, dopo le straripanti vittorie staliniane; il più forte membro Nato per effettivi militari in campo, finanziata dall’Europa per divenirne parte, si è avvicinata ai russi, non solo per il loro intervento fattivo che ha chiuso l’incubo Daesh; ma soprattutto per il problema più grave che più la tormenta, il fantomatico Kurdistan.

Come non smettono di ripetere i tvgiornalisti imboccati, il Kurdistan è quel territorio che si espande dall’oriente turco, al nord Siriano ad est dell’Eufrate, al nord Iraq, nord Iran e che in realtà prosegue sfumando nel Turkmenistan. Certo, con la stessa logica anche il regno catalano si estendeva sul nord spagnolo, le isole del mediterraneo occidentale ed il Suditalia. Tra le altre perle che si sono sentite, Assad avrebbe sterminato gli assiri, quel polo che fece sparire i sumeri e che si erano fusi con i babilonesi, che per l’occasione erano riapparsi come l’esercito di pietra cinese. Roba da una notte al museo. In realtà, i curdi dell’Iran sono persiani di montagna, una delle tante popolazioni di quel paese. Ci fu un tempo in cui i curdi presero in mano l’impero persiano con il nome di Medi, continuando la politica di scontro militare con l’antica Roma.

Recentemente i curdi dell’Iraq, invece, sono rientrati nella storia ai tempi di Clinton, quando durante il lungo fiaccamento di Saddam, gli Usa imposero tra il 1992 ed il 2003 una nofly zone per impedire a Baghdad di controllare il nord del paese. Dal punto di vista turco, ci stavano dal trattato di Sevres, con il quale inglesi e greci pensarono di spartirsi l’ex territorio ottomano, creando anche un Kurdistan indipendente. L’aggressione anglo greca trasformò la Turchia di Atarurk da paese sconfitto a vincitore, sospettoso dell’Occidente dove  suoi figli hanno poi emigrato in quantità. Dato il precedente storico di Sevres, dato l’indipendentismo curdo in Anatolia e dati gli attentati curdi, in stile Ira ed Eta, è evidente l’estrema suscettibilità turca sul tema. Ankara ha sempre seguito con trepidazione l’uso dei curdi anti Saddam e antiAssad, e poi antesi, fatto dagli Usa, temendo che questi alla fine li volessero premiare, dandogli forza per ottenere indipendenza anche in terra turca.

Siamo a questi ultimi giorni, quando si susseguono strani fatti.

1)Trump torna ad un suo vecchio cavallo di battaglia, l’assurda invasione Usa in medioriente, l’inutile perdita di sangue americano, la bugia delle armi distruttive di Saddam, a suo tempo denunciata da Putin e Chirac. Annuncia di voler uscire dalla Siria, che rappresenta un disastro obamiano. Alla denuncia trumpiana, che è condanna alzo zero della politica estera dei repubblicani e dei democratici nel Levante, segue 2) l’annuncio turco dell’invasione di una striscia di terra di 30 Km a sud, nel nord siriano per cacciare i curdi. Si alzano l’indignazione generale e la protesta curda che teme per il territorio ritagliato in Siria, ma anche della casa madre iraqena. 3)La Turchia minaccia un’invasione di emigranti in Europa e Assad reagisce accorrendo all’invasione turca, sostenuto dai russi che tacciono ma intanto occupano le ex postazioni Usa. 4) Poi Mosca dichiara di voler impedire il conflitto turco siriano e Assad accetta, per proteggerle, di includere le armate curde sotto la propria bandiera, facendo venire meno le loro istanze autonomiste. 5) L’incontro di vertice turco americano ottiene lo stop alle operazioni militari di Ankara cui basta evidentemente la ripresa di potere siriano sulle sue zone curde.

Il tutto è avvenuto in pochi giorni con la soddisfazione di Damasco, Mosca, Ankara, Washington, Teheran. Una pantomina internazionale costata ancora morti, ennesimo pass per tornare allo status quo ante, utile a chiudere la questione curda in Siria, inquadrandone le forze tra battaglioni siriani e reggimenti russi. Utile a chiuderla anche in Iran, dove nemmeno esiste ed a chiuderla per il futuro dell’Iraq, che resta un’incognita incompleta. Un altro luogo dove gli  americani dovranno chiedere aiuto ai russi per evitare l’iranizzazione del paese, dopo il loro ritiro. Ed intanto, hanno chiuso in Siria, disastrosa come una Somalia.

E l’Europa, che non ha capito niente, a cosa è servita? L’Europa, data la potenza dei suoi media e delle sue organizzazioni in loco, non è mai ininfluente. Come vecchie donne che combattono la decadenza e si laccano le unghie, l’Europa ha una sensibilità. Latra di pianto per il bimbo gassato da Assad magari in altro tempo e luogo, ignora quello cristiano ucciso dai suoi alleati. Si dispera per la causa curda che confonde con il sogno del rovesciamento di regime in Siria; ma non ammetterebbe mai l’indipendenza catalana o veneta; e soffre come un’ulcera perforante la Brexit. Tanto dolore mediatico ha acuito lo sconforto curdo e ne ha accelerato la sottomissione in Siria. Paradossalmente anche l’Europa è stata utile al grande gioco che non ha capito più.

Tutto bene; è bene ciò che porta alla fine della morte, alla vittoria di una parte, alla pace, anche senza giustizia romantica. Le grida da Erinni tifose, sconfitte ed imbrogliate, dell’Europa sottolineano che si avvicina la fine del decennio di guerra con l’evaporazione delle fantasie del Kurdistan.

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