L’anima di Alda Merini appartiene ad un’altra Milano che non c’è più

Milano

La nebbia cammina piano, così per non disturbare, per non essere troppo invadente, ma ha un passo avvolgente, porta la magia del mistero, sussurra la speranza. La nebbia saliva e saliva ancora dall’abisso di un Naviglio amico, soffocato dalla notte. E là ancora canta l’anima che sapeva giocare con le emozioni, che la vita aveva mantenuto integra, che amava la semplicità degli ultimi. Ma la sua Milano umana, attenta, non c’è più. Non si va alla Conchetta, alla Magolfa con la risata complice a narrare in meneghino i ricordi di un barbone, il quadro buffo di personaggi quotidiani. E la stretta di mano era amicizia. L’incontro una dichiarazione d’affetto. Alda con Milano sognava la vita perché Milano era il suo sangue, la vertigine dei suoi ricordi, la cultura dei suoi padri. Con il Naviglio da ascoltare, da assaporare, nelle lunghe notti insonni, quasi fosse un amico, un compagno fedele. E mai il rapporto tra un poeta e la sua città fu così viscerale, intenso, totale. Un amore che poteva essere odio nella memoria degli anni passati là dove “C’era la musica, ma nessuno suonava. Era la musica del cuore”. Ho amato Alda Merini, le sue unghie scarlatte, l’incubo di uno sguardo che voleva dimenticare il buco nero della sua esistenza, e quel portamento invincibile perché nulla può sconfiggere la poesia, l’arte. E sembrava non sapesse quanto i fiori donati con generosità, fossero eterni e profumati. No, la Milano di Alda Merini non è degrado, spaccio, illegalità. “Io invece cammino tribolata /su e giù /per questa mia città rattrappita, /che non vuole il tuffo spericolato /della mia povera anima” (Alda Merini)

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