Intervista a Nicola Rossi
Uso limitato dei contanti, manette agli evasori e stretta alle compensazioni: il governo vara misure di facciata, in parte sbagliate e in parte inefficaci. Il decreto fiscale che accompagna la Legge di bilancio 2020 è stato pubblicato lunedì sulla Gazzetta Ufficiale. Il “cuore” del provvedimento, che conta 60 articoli, è focalizzato sulle misure – alcune delle quali entreranno in vigore subito, altre solo nel 2020 – per contrastare l’evasione fiscale: calo della soglia del contante (da 3.000 a 2.000 euro a partire dal prossimo luglio); aumento degli anni di carcere per i grandi evasori, per i quali scende anche la soglia per far scattare le manette; forte spinta all’uso dei pagamenti elettronici (e a tal proposito per i piccoli commercianti, sotto i 400mila euro di ricavi, sarà previsto un credito d’imposta del 30% sulle commissioni pagate e sanzioni se si rifiutano di accettare i pagamenti); lotteria degli scontrini; bonus che scatterà nel 2021 per alcune tipologie di pagamento fatte in modo tracciabile; stretta alle compensazioni fiscali. Con queste norme il governo mira a recuperare 3 miliardi di gettito. Sono misure efficaci? Chi colpiranno? E segnano davvero nella lotta all’evasione un cambio di passo netto rispetto al passato? Lo abbiamo chiesto a Nicola Rossi, economista e presidente dell’Istituto Bruno Leoni.
Il decreto fiscale prevede, in fatto di lotta all’evasione, il calo della soglia del contante, l’aumento degli anni di carcere per i grandi evasori, una forte spinta all’uso dei pagamenti elettronici, una stretta alle compensazioni fiscali.
Sono misure valide?
Andiamo per ordine. Ho l’impressione che la stretta all’uso del contante abbia dato già quel che poteva dare e che non ci sia da aspettarsi moltissimo da un ulteriore calo della soglia. Sono dell’idea che una parte dell’evasione prenda strade diverse che non sono semplicemente quelle che verrebbero evitate dalla stretta sull’uso dei contanti. E’ una misura che, nel rapporto costi/benefici, non so quale vantaggio netto possa portare.
Le manette agli evasori sono un buon deterrente?
Tutta la parte di carattere penale è molto di bandiera, di facciata, più che di sostanza. Non credo che la lotta all’evasione si faccia in questo modo. E’ molto più efficace il ricorso compiuto alle tecnologie e alle banche dati esistenti.
E la stretta alle compensazioni fiscali?
E’ un classico. In larga misura questa modalità, già sperimentata in passato, si traduce in oneri, di carattere monetario o burocratico, in primo luogo per i contribuenti che vogliono adempiere al loro dovere. E questo è molto grave, perché mina il rapporto di fiducia tra il fisco e il contribuente. Non voglio negare che il canale delle compensazioni sia uno nei quali probabilmente si verificano degli illeciti, ma penso che gravare il contribuente leale di oneri addizionali nel tentativo, appunto, di rendere meno attivo quel canale sia un errore strategico madornale. Perché mai – si domanderanno a quel punto – essere leali nei confronti di un fisco che leale non è nei confronti dei contribuenti?
Queste misure chi penalizzano di più e chi avvantaggiano di più?
Non so bene chi possa essere favorito da queste misure. La mia sensazione è che o sono misure che tenderei a considerare non particolarmente decisive, come quelle di carattere penale, oppure sono misure che finiscono per rendere la vita del contribuente leale più faticosa, più complicata, più affannosa. Portano gettito, ma non a spese dell’evasore, bensì quasi interamente a spese del contribuente leale. E non credo che sia ciò di cui abbiamo bisogno. Detto questo, resta sul tappeto un problema di carattere generale.
Quale?
Ritengo molto imprudente, come fa il governo, portare a copertura di spese i ricavi derivanti dal contrasto all’evasione. E’ un errore di fondo, perché sono ricavi per loro natura aleatori, che andrebbero postati solo nel momento in cui fossero realizzati e, se realizzati, dovrebbero essere interamente utilizzati ad abbattimento della pressione fiscale. Ma se guardo i documenti ufficiali, non vedo una riduzione della pressione fiscale nell’anno 2020. Si sta, dunque, pure violando un principio di legge.
Rispetto al governo precedente si può dire che è stato adottato un deciso cambio di linea? Si può parlare di passo in avanti?
Non so se sia giusto parlare di passo in avanti o di passo indietro. Senza dubbio c’è un evidente cambio di linea rispetto a quella intrapresa dal governo precedente. In tutto questo, però, non ci si rende conto di una questione forse banale, ma non irrilevante. Ci sono imprese che hanno ancora sulle spalle le conseguenze di una crisi lunga 10 anni, che cercano di pagare le imposte, attraverso per esempio le rateazioni, che non erano in grado di pagare in passato e ora non riescono a pagare quelle correnti. Il problema quindi si ripropone, visto che non lo si è voluto affrontare come si doveva: che cosa accade, cioè, dopo 10 anni di crisi profonda? Un tema rimasto in parte inevaso nel governo precedente, ma del tutto inevaso con il governo attuale, che questo problema non lo vede affatto.
L’obiettivo del governo, contrastando l’evasione fiscale, è quello di far pagare le tasse a tutti per pagare di meno. Riuscirà nell’intento?
Se fosse così – lo ripeto -, dovremmo vedere una riduzione della pressione fiscale in parallelo alle maggiori entrate conseguenti alla lotta all’evasione. Ma io non la vedo nei documenti ufficiali. Quindi c’è qualcosa che non funziona.
Istituto Bruno Leoni
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