In un momento di congiuntura negativa imporre costi considerevoli alle imprese non sembra una buona idea
Il nuovo Codice della crisi, approvato all’inizio di quest’anno, sarà pienamente operativo dalla prossima estate, quando entrerà in funzione il sistema di allerta per le situazioni di crisi. Del codice, avevamo già criticato la scelta di cancellare la parola ‘fallimento’ come una scelta ipocrita e nascondere la realtà.
Accanto a tale ipocrisia, le stime uscite qualche giorno fa nel rapporto Cerved sulle PMI fanno emergere un’altra, pericolosa contraddizione.
Il meccanismo di allerta per le situazioni di crisi introduce infatti un sistema ‘algoritmico’ presuntivo basato su indicatori fissati a livello nazionale per settore, a partire dal patrimonio netto negativo. Tale sistema rischia quindi di sostituirsi meccanicamente alla responsabilità dei sindaci e revisori, imponendo una procedura acritica e automatica di valutazione del rischio come via di accesso per la composizione assistita della crisi.
Accanto ai costi necessari per dotarsi di sistemi di gestione e controllo del rischio, le imprese dovranno inoltre affrontare ulteriori obblighi organizzativi.
Il Cerved ha stimato che il costo di adeguamento delle imprese sarà tra i 3,8 e i 6 miliardi l’anno, di cui più di 2 miliardi per le PMI. Ogni piccola impresa dovrebbe caricarsi di circa 15-20 mila euro all’anno. Il doppio per le medie imprese.
Si può pensare che, a fronte di tali costi, le nuove procedure produrranno benefici rilevanti in termini di risoluzione anticipata delle crisi o di tutela del valore dei cespiti di imprese in crisi definitiva, stimati sempre dal Cerved in 9,9 miliardi.
Tuttavia, mentre i costi, trattandosi di obblighi di legge, sono certi, i benefici no, dipendendo dalla concreta applicazione delle nuove norme, che è tutta da verificare e che dipenderà in larga misura da come i professionisti coinvolti vorranno interpretare, in maniera più o meno formalistica, il loro ruolo rispetto ai responsi di un sistema presuntivo. Difatti, i revisori potranno discostarsi dai risultati predittivi, ma dovranno darne motivazione assumendosene la responsabilità.
In un momento di congiuntura negativa imporre costi di tale portata, specie alle PMI che già non sono attrezzate in tal senso, non migliora la produttività, e anzi rischia di peggiorare la situazione reddituale ed economica. Se è vero che uno dei problemi maggiori del nostro sistema giuridico-economico è quello di non essere attrattivo per le imprese, la secca sottoposizione a uno screening di indicatori difficilmente potrà invertire la tendenza. Fare impresa, prima che fallire, rischia davvero di diventare un tabù.
(Istituto Bruno Leoni)
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