Quando gli “ultimi” diventeranno primi ad una Prima della Scala, fieri di essere italiani?

Milano

Il grande rito della inaugurazione della Scala è terminato con un trionfo. Forse è giusto così, anche se Pavarotti non ha seguaci alla sua altezza. “Tosca” trasmessa in Televisione è ripresa nei dettagli, con un’acustica perfetta, l’impressione è di assistere ad un’opera senza un tempo che circoscrive, che limita il linguaggio universale di autodeterminazione. E’ un inno alla libertà contro il potere, è la passionalità di una donna senza compromessi. E là,  sul palco reale, lo Stato, con Mattarella e Sala, fieri per gli applausi, per un omaggio che dura 4 minuti. Tutto quasi da copione? Credo di sì, vista la marea elegantissima di chi può frequentare, imbrigliata in una comunità di privilegi, orgogliosamente disponibile a mostrarsi. In una serata in cui la bellezza dell’opera di un autore italiano, nel tempio irraggiungibile della musica nato in Italia, quando un occhio si inumidisce di fierezza, comprendi di essere esclusa da quel mondo di privilegiati. Non sono mai stata ad una prima, sono felice che lo svolgersi dell’opera sia stata diffusa in città, condivido l’entusiasmo dei carcerati, degli ammalati, dei clochard nei luoghi di accoglienza, ma la distanza tra i due mondi è incolmabile. Quante persone avevano sposato compromessi, opportunismi per presenziare? Non so. Ma so che giustizia sociale forse vorrebbe che anche gli ultimi fossero i primi ad una Prima della Scala. Puccini, la Scala sono italiani, un grido di libertà.

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