Non so chi ha detto che, se trascuri la politica internazionale, la politica internazionale non trascura te e presto arriva alle tue porte e ti fa pagare caro il conto del tuo disinteresse. Fatto sta che qualcosa del genere sta accadendo all’Italia in questi giorni, con la doppia crisi mediorientale e libica. Anche se in verità si era già manifestato con la nascita del secondo governo Conte che, se non è stato determinato, è stato certo facilitato dal contesto internazionale. A un attivismo frenetico del nostro governo e a prese di posizione spesso estemporanee dell’opposizione sembrano corrispondere soprattutto “schiaffi” da parte di coloro che dovrebbero essere i nostri interlocutori. D’altronde, lo stesso “sovranismo” più che come la rivendicazione di una sovranità (a ragione o a torto poco importa) perduta, si è presentato da noi con la faccia di un isolazionismo (“facciamo da soli”) che in verità non è mai esistito nella storia e a maggior ragione non può esistere oggi per il nostro Paese. Lo stesso nazionalismo risorgimentale poté approdare a un esito positivo, cioè appunto creare uno Stato-nazione, perché il Regno di Sardegna seppe inserirsi in un gioco di forze e di rapporti internazionali con sagacia e realismo politico. Ma anche a sinistra, o in genere negli esponenti del deep state, caduto il muro di Berlino, ci si è adagiati sull’idea che sarebbe bastato seguire e compiacere l’Unione Europea a trazione franco-tedesca per continuare a vivere tranquilli nel benessere, nella pace e nella ricchezza. Nella migliore tradizione di delegare ad altri la difesa del proprio interesse nazionale, il che è in linea di principio contraddittorio. Fino a che, appunto, la realtà non ha bussato alle porte.
E qui l’uso per fini interni della politica estera ci ha resi semplicemente deboli e inaffidabili. La disinvoltura con cui si è passati da un elogio della Russia di Putin a quello di Trump, o con cui si strizza l’occhio ai cinesi, ha finito per disorientare sia i nostri alleati sia i nostri nemici. Le stesse visite ufficiali o i consessi internazionali sono stati l’occasione per chi ci rappresentava più per una parata a uso dei nostri media, per fini di politica interna, che non come una indispensabile rappresentazione del nostro ruolo di media potenza in un mondo globale. Ora, sia beninteso, proprio per questa nostra dimensione, nonché per la nostra vocazione più propria, l’Italia deve dialogare con tutti e con tutti fare affari. Lo ha sempre fatto. Quel che però oggi manca è proprio una visione, una serietà e chiarezza nelle intenzioni. In questi giorni si ricorda Bettino Craxi, morto venti anni fa nell’esilio di Hammamet. Ebbene, Craxi, da presidente del Consiglio e con Gianni De Michelis al Ministero degli Esteri, seppe dimostrare, negli anni Ottanta, proprio come si possa avere una politica estera forte e autorevole, anche con una propria linea non del tutto gradita agli alleati ma essendo da essi sempre rispettati e stimati. Egli dimostrò soprattutto la capacità di tenere fermo sui punti fondamentali: da una parte l’atlantismo, dall’altro la difesa della sovranità nazionale. Ronald Reagan, in età avanzata, gliene dette atto. L’impressione è che navigare a vista, come stiamo facendo, dando un colpo al cerchio e uno alla botte, sia non solo inefficace, ma anche controproducente. Certo, il nostro sistema politico è oggi nel profondo instabile (non come nella prima repubblica che lo era solo in apparenza). L’auspicio è che siano proprio le emergenze internazionali a fare acquisire alle forze politiche e agli uomini di governo la consapevolezza che oggi manca.
Blog Corrado Ocone
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