“Hammamet” per raccontare l’umanità di un grande statista

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“Hammamet” per raccontare l’umanità di un grande statista, Bettino Craxi, nell’esilio di un luogo che sottolinea la sua solitudine e il tramonto di un uomo di potere.

Stefania Craxi parla del padre e del film, interpretato magistralmente dall’attore Favino, in un’intervista a Il Giornale «All’inizio mi sono trovata spaesata. La prima scena, quella che ricostruisce il congresso del Psi all’Ansaldo, mi pare la meno riuscita. Mio padre sembra più un cumenda milanese, sbrigativo e un po’ superficiale nel modo in cui liquida il tesoriere del partito. Fra l’altro Craxi non si è mai occupato dei conti: non di quelli di casa, figuriamoci del partito. E anche l’interpretazione di Pierfrancesco Favino mi pare un po’ sopra le righe, come se avesse una tonalità sbagliata. Ma poi – e Stefania sospira – Favino diventa sempre più aderente all’originale, credibile, anzi di più, nelle movenze, nel timbro della voce, nella tenerezza che fa da contrappunto alla sua scorza rugosa, per esempio nel rapporto con il nipotino. Ancora più sorprendente perché ha la stessa goffaggine di mio figlio Federico, oggi trentaduenne».

Osserva Il Giornale “Siamo lontanissimi dagli stereotipi: dalla cartolina girotondina, tutta gogna e bava alla bocca, o dal ritratto del satrapo in fuga con il suo tesoro. «Era la leggenda che correva a Milano negli anni più bui: si diceva che papà si fosse rubato pure la fontana del castello e se la fosse portata in Tunisia. La scena in cui Bettino litiga con i turisti che gli gridano vergogna è verità pura. Io del resto in questi vent’anni non ho condotto una battaglia familiare, ma di comprensione di quell’esperienza».

Il film visto da Gianni Pittella senatore del PD è obiettivamente condivisibile “Non indugia sull’ascesa del leader socialista, né sui caratteri innovativi del suo governo, sull’attestazione economica del Paese, sull’affermazione di indipendenza a Sigonella o sull’intuizione presidenzionalista e sull’anelito riformista. Né, viceversa, insiste sul degrado dell’elefantiasi partitica, sull’insopportabile tributo che in quella stagione ogni ganglio dell’economia e della società sembrava dare alla politica. E non perché tutto questo citato non venga a tratti sfiorato, accarezzato dal film, nel suo svolgimento, ma perché in realtà vi resta così, solo sullo sfondo, quasi fosse un accidente la politica di fronte alla vicenda umana.” E conclude “Un premier, che comunque si giudichi, ha servito il Paese per una vita intera, non doveva morirne lontano e forse è arrivato il tempo di seppellire i risentimenti di parte, di ogni parte, e tributargli un omaggio, certo postumo, forse tardivo.”

E anche per questo, il 19 gennaio, nell’anniversario della sua scomparsa, porterò un garofano ad Hammamet, in quel piccolo cimitero che guarda il mare.

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