Il 2020 è un anno importante per il mondo dello sport. Non solo i campionati europei di calcio, ma soprattutto le Olimpiadi che avranno luogo in Giappone. Una vetrina che catturerà l’attenzione del mondo, non solo sportivo, sul più grande evento mediatico del pianeta. De Coubertin ci ha insegnato che l’importante non è vincere, ma partecipare. E chi meglio degli atleti paralimpici può sposare questo concetto? Atleti con disabilità fisica per i quali la loro Olimpiade diventa d’incanto l’evento, il momento più sublime per dare un colpo di vita a quella vita che purtroppo ha riservato loro un colpo durissimo. Atleti, ragazzi e ragazze che lavorano sodo quotidianamente, lontano dai riflettori, per preparare la loro gara, che vale una vita. Perché il loro coraggio, la loro abnegazione, il loro saper essere forti, il loro non essere vittime ma protagonisti, ne fanno degli atleti straordinari dai quali tutti noi, magari più fortunati, avremmo qualcosa da imparare.
Imparare a sorridere alla vita, sempre. E’ il credo di chi suda, lavora all’ombra di un risultato da raggiungere, perché esserci è un momento irripetibile, frutto di sacrificio e impegno, da premiare sul campo, con una medaglia che meriterebbero tutti. Il tabù da sfatare è quello della visibilità perché, non nascondiamoci, le paralimpiadi arrivano dopo, a ridosso del grande circo mediatico dei Giochi Olimpici, quelli riservati ai grandi campioni. Già, un tabù da sfatare, perché campioni non si nasce, ci si diventa, con il lavoro, il sacrificio. A qualsiasi latitudine, senza pregiudizi. Un campione è per sempre e senza barriere, perché il percorso è lo stesso e porta al medesimo obiettivo, quello di mettere al collo una medaglia, che ha lo stesso valore. Gli stessi Giochi Olimpici sono troppo spesso sacrificati sull’altare dell’attenzione che riveste un atleta. Una Chiara Cainero, che vince l’oro nel tiro a volo a Rio, probabilmente non la ricorda nessuno perché il suo nome non è visibile come quello di un Cristiano Ronaldo. Eppure, i sacrifici sono gli stessi. Di questi atleti che rendono orgoglioso il nostro sport, ci si ricorda per il breve volgere di una giornata, il tempo di vedere il tricolore volare alto sul podio olimpico accompagnato dalle note dell’inno di mameli, per poi calare nelle tenebre di un buio sportivo che non rende onore a chi quella maglia, quei colori, li ha onorati.
L’esempio di Chiara Cainero e di tanti altri atleti e discipline figlie di un dio minore, è emblematico di un sistema che fa fatica a tenere a mente i veri valori dello sport. Che non sono solo quelli del denaro e della notorietà televisiva. Sono i valori di chi fa sport come elemento indissolubile di vita. E stesso discorso, va ampliato per gli atleti paralimpici a volte migliori e più forti atleticamente dei normodotati. La loro storia è già leggenda, come quello di Alex Zanardi che con la tempra di sempre, continua con le sue imprese a stupire il mondo. O il nuotatore Daniel Dias per finire con Beatrice Vio che pè diventata il fiore all’occhiello dello sport paralimpico. E potremmo continuare all’infinito nel celebrare medaglie e imprese di chi nella vita ha perduto tanto, ma non lo spirito e la voglia di combattere. Che vale molto di più di quella medaglia che pure fa sorridere i loro cuori. Grazie a questi ragazzi la cui summertime non è mai finita e che giorno dopo giorno ci regalano emozioni a tinte azzurre. Bene, ricordiamoci tutti i giorni, non soltanto quando il loro nome sbarca in tv e sulle prime pagine dei giornali. Vincere il pregiudizio sarà la loro più grande vittoria. (Interris)
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