Finite le festività, ecco un’altra festa quella Giornata Tricolore istituita nel ’96 ai tempi dei tentativi di appeasement tra destri e sinistri in un malinteso strapuntino nazionalista. La Giornata nazionale della bandiera Tricolore, immemore delle origini nordiste e massoni del drappo, comunque si è svolta con i consueti complimenti all’Esercito. Le armi urlano tutte intorno a noi, sull’altra sponda del mare, in Medio Oriente, nei cieli di aerei civili e militari, con la bella novità della velocità ed invisibilità dei droni, giocattoli mortali, che hanno imposto in questi giorni, di cancellare le rotte aree su due paesi del quadrante orientale.
Dove stia il nostro Esercito lo ha dichiarato la massima Presidenza elogiandolo per l’impegno ormai più che decennale nell’operazione Strade Sicure. Ci sono guerre tutto attorno mai i nostri soldati si sono formati in qualcosa di mezzo tra vigili, informatori e poliziotti, in un paese che ha già mezzo milione di membri delle forze dell’ordine. Vien da pensare che le medaglie sui petti siano direttamente connesse alle multe per i violatori dei tornelli alla metro. Strade Sicure era all’inizio un aiuto alla repressione delle mafie (ricordate Vespri Siciliani?) nel sottopensiero che il Medio Oriente cominciasse nella Magna Grecia degli assalti di massa alle autoambulanze del Far Sud. L’idea militarmente non si manifesta perché proseguire sulla china comporterebbe l’incarceramento dei poteri locali più di quanto non si faccia già ora (e lo si fa tanto). Non mancano però magistrature che richiedano onori militari a mezzo stampa.
L’ultimo saluto alla festa tricolore è venuto però dall’Iraq, dove i nostri militari sono impegnati in tante attività, in genere poco connesse al combattimento. Infatti gli americani, al primo temere di ritorsioni droniche persiane li hanno fatti rifugiare nei bunker. Politici e comandanti si sono premurati di dichiarare essere prima e massima priorità la sicurezza delle truppe, tanto da far pensare perché mai arrischiarne le sorti mandandole in un paese multifronte di guerre? Saranno anche preziosi la logistica, il supporto alle popolazioni, le ospedalizzazioni e le ingegnerizzazioni, nonché sostituirsi ai semafori mancanti, ma non c’è bisogno di indossare una uniforme per questo. Ci sono Ong e Medecins sans frontieres che scalpitano dalla voglia di sostituirci. Tanto più che la nostra memoria giuridica è infinita, mentre quella militare, no. Neanche un sorriso per la fine dell’autore della strage di Nassirya che ci costò 28 morti.
Sembra che attualmente ci siano più militari schierati per Strade sicure di quelli nelle missioni all’estero, in genere impegnati ad addestrare forze armate altrui, proteggere beni pubblici e privati (e rischiare l’arresto) e dividere fazioni in lotta; destinati a decrescere visti i piani di abbandono italotedeschi del teatro irakeno. Non è che la Difesa costi molto ma fa tutto tranne quanto intuitivamente dovrebbe essere, cioè costituire una risorsa militare. Invece la Difesa sembra soprattutto una funzione acquisti, utile ai rapporti internazionali mescolati con quelli commerciali dei fornitori alleati, soprattutto del principale alleato; e sembra una funzione ricerca e sviluppo utile a far sviluppare la nostra industria militare che, quella sì, è degna dell’aggettivo.
Ci si accanisce a ribadire il rifiuto di ogni possibile uso della forza militare. Anche quella minima, paragonabile al corpo di spedizione di 35 militari che Ankara ha inviato in Libia con l’idea che già tre morti le siano sufficienti per sedersi al tavolo della spartizione della quarta sponda. D’altronde, quando proviamo a metterla in campo, questa forza, finisce proprio in mezzo tra l’incudine ed il martello o come direbbe una Carola, tra banchina e sperone di prua. Meglio parlare con tutti, all’infinito, sostenere i cessate il fuoco con gli stessi che lo propongono, Sultano e Zar, e contemporaneamente lo violano. L’Europa è quella cosa che con una voce sostiene i governi made in Onu, mentre le forze militari del paese più forte del continente sostengono i ribelli. L’assurdità della force de frappe schierata in Africa ridicolizza qualunque Alto rappresentante europeo. L’alleanza militare della Nato è quella cosa che vuole i soldi da tutti (e noi paghiamo di più di tutti) mentre il suo membro più forte fa tutto di testa sua senza avvertire ed un altro, il più forte sulla scena europea è alleato dei nemici della coalizione. Non resta, per concludere la guerra della quarta sponda, che attendere, nei tempi più brevi che vinca il più forte e con i maggiori appoggi, che guarda caso, in barba a tutte le risoluzioni, è proprio il ribelle. Dopo attenderemo con l’anima da Borboni il primo Garibaldi che passa.
Tutto cambiato, senza una regola che tenga. Si capisce la confusione mentale di ruoli ed appuntamenti di premier e ministro degli esteri, cresciuti da avvocaticchi e masanielli a urlare legalità o a verificare formalismi. A parte l’essere asini, purtroppo glielo hanno insegnato Sartori e Cassese. Il Paese non tollererebbe nemmeno il sangue versato da un mignolo. Manifesterebbe come il Pci filo Pol Pot o filo Khomeini appena che cercassimo supporto o appoggio americano a qualunque iniziativa militare. Destri e sinistri per diverse ragioni manifestano sempre per la vittoria dei nemici degli Usa nella convinzione che poi perdano. Denigrano sempre il grande alleato, salvo ubbidirgli quando ordina. L’opinione pubblica non manderebbe a morire neanche stranieri che agognino la cittadinanza, sull’esempio di Usa o Francia dove larga parte delle truppe è costituita da minoranze razziali o da immigrati come da tradizione del tardo impero romano. Neanche, sempre secondo l’esempio degli alleati, mercenari o contractor su cui penderebbero fortissimi rischi di arresto al primo esposto.
Non c’è scampo, siamo senza difesa. Senza Europa, senza Nato, pieni di armi ancora da scartare dal tetrapack. Ci resta forse l’unico potere rimasto, l’ultimo pifferaio. Sull’esempio di passi giudiziari già avviati su delitti avvenuti all’esterno per mano di stranieri, senza tema di impugnabilità di competenza territoriale, potremmo portare alla sbarra, o semplicemente dichiararlo, i nemici e dotare i soldati delle corrette autorizzazioni di garanzia verso i denunciati per certificare l’intervento. D’altronde abbiamo già quasi inquisito un capo di stato straniero ed un giornalone si è chiesto se non fosse plausibile l’arresto di Trump per la morte di Soleimani. Con l’avviso di garanzia bellica, tutti i dubbi svaniscono; ogni nonsense assume un metafisico ed imperscrutabile senso. L’idea di eliminare retroattivamente le prescrizioni per le violazioni dei nostri interessi affascinerebbe l’ultimo pacifista. Dopo aver consegnato ai tribunali la politica, la salute, l’industria, non resta che darle l’esercito. D’altronde è già abituata a comandare direttamente le uniformi. Ed al prossimo concilio di dialogo tra gli attori in campo, generali, capi di Stato, ribelli e legittimi vedranno l’irrompere di camionette militari e civili, per l’arresto collettivo.
Così risorgerà oltre gli ostacoli diplomatici, psicologici, faziosi, marittimi, etici e partitici, la Difesa. Con l’avviso di garanzia bellica.
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Giuseppe Mele
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.