Ciao Giggino, con te se ne va l’innocenza del MoVimentIeri, in un momento di mestizia epocale. Giggino si è tolto la cravatta. Che lo soffocava. Era un cappio, quella cravatta, il segno della tagliola al piede del grande guerriero. Lui, il responsabile del MoVimento al 30%, l’aveva indossata entrato a Palazzo Chigi. La portava fiero. Un ometto maturo, responsabile. Che un giorno avrebbe, ne siamo certi, imparato a domare anche il suo più oscuro nemico. Il congiuntivo. Ma non gliene hanno lasciato il tempo. Perché, di fondo, tutto è cambiato, ma non lui. Lui è rimasto coerente con se stesso fino alla fine. E queste ingenuità si pagano.
Era giovane Giggino, quando gli hanno annodato la cravatta la prima volta. Senza aveva vinto le elezioni. Con avrebbe dovuto governare. Aveva gli occhi tersi come la terra di Pomigliano d’Arco. E non prendetevela con me, non ho colpa se ha gli occhi scuri e viene da là. Uno con le metafore può arrivare sono fino a là. Dicevamo, aveva gli occhi tersi Di Maio, quando ha scelto il Prof. Avv. Gran Lup. Mann. Giuseppe Conte. Così puri da non rendersi conto che il suo curriculum era credibile quanto le competenze economiche di Laura Castelli. A lui bastava esserci con un uomo suo. Lui vice. Ministro del Lavoro.
Gran Ministero. Ottenuto senza nemmeno un giorno di vero lavoro, una laurea, uno straccio di competenza. Incarnava il meglio di quell’Italia che sa arrangiarsi, Giggino. Gli avevano detto che c’erano due cose da portare a casa: il Reddito di Cittadinanza ed il Reddito di Cittadinanza. E lui, diligente, ha fatto un contratto. Firmato col sangue. Poi, però, inizia la sfiga. Crolla un ponte. E dalla regia gli dicono che deve fare altre due cose. Abolire la povertà e revocare la concessione ai Benetton. La cosa si complica.
Non basta, l’amicissimo del cuore che non ti tradirà mai, ha delle richieste un po’ buffe. Vuole fargli macellare politicamente metà dell’elettorato. Ma Giggino deve abolire la povertà, decide di iniziare abolendo la precarietà e finisce col minare l’occupazione. Si chiama decreto dignità perché decreto fesseria pareva troppo regionale. Intanto Matteo, l’amichetto un po’ cattivo, un po’ affezionato, continua a giocare con le navi ed i numeri, tra loro, si stanno invertendo. Giggino è perplesso. Però poi gli danno il reddito. È felice, lui. Ma anche perplesso. Adesso è l’ora di una cosa chiamata finanziaria.
Scopre che deve trovare pure i soldi. Quell’incapace di Tria non li ha. Non doveva fare molto. Gigi abolisce la povertà, Tria trova i soldi. Era facile, lucido, scientifico. Invece no. Tocca fare tutto a lui. E poi c’è quota cento. La vuole Matteo. Purtroppo a Dicembre gli immigrati diminuiscono e lui si annoia. Vabbè. Fanno la manovra, ma qualcosa si rompe. Alcuni ipotizzano sia l’affiatamento. Alcuni i conti. In realtà sono alcune oggetti sferici, denominati in alcune parti d’Italia palle. Ci sono le europee. Il reddito ancora no. Corre Giggino, ma deve pure prendere i voti. Non basta il reddito, la revoca (mai fatta) della concessione ai Benetton, l’abolizione della povertà. Ci vogliono pure i voti.
Non va molto bene. I voti non ci sono. Vabbeh guagliò, cose che capitano. Ormai Matteo è per tutti il Capitano. Lui non ha un bel soprannome. È triste. Va in vacanza. Ma Matteo no. Ormai fa politica pure tra la sabbia sempre più bianca del Papeete. Tutti lo chiamano da Roma. Qualcosa non va. Matteo è strano. Non mixa nemmeno più come una volta. All’improvvisamente un fulmine. Matteo dice che finita. Bisogna vedere altre persone. Giggino è paralizzato. Erano amici. Si volevano bene. Ed invece.
Invece è guerra. I suoi non lo amano più. Lo può capire. Ritorna Dibba. Turista forever. Mentre Giggino metteva cravatta e chili questo faceva un figlio e girava il mondo. Infame Dibba. Vuole il suo posto, Di Maio lo sa. Ma lui non si arrende. Lotterà fino all’ultimo. Non sa con chi però. Ed eccolo, il serpente Toscano, che gli fa una proposta che non può rifiutare. Affondare il Capitano con una manovra del Transatlantico. Giggino non capisce, ma va bene così. Si ricomincia. Conte ormai lo tratta come uno studente ripetente. Mezzo partito è felicissimo. Anche quest’anno si torna a lavorare l’anno prossimo. L’altra metà è orripilata. Tradimento.
Questa la parola più comune. Tradimento. Il suo, che è andato con Renzi. Il loro, che vogliono andare coi voti di Matteo. Quello degli elettori, che sono andati via e basta. Grillo no, Beppe lo protegge. Giggino ci spera. Può farcela. È ministro degli esteri. Si sente preparato. Alla peggio c’è sempre la barbabietola da zucchero, come quando veniva interrogato a scuola. Solo che, porco il mondo che c’ho sotto i piedi, scoppia la terza guerra mondiale. E sempre quando è in vacanza. Non lo richiamano neanche. La situazione è già abbastanza grave pure senza di lui. Il partito affila i coltelli.
Lui aveva provato ad ammazzare i dissidenti, tipo Paragone. Ma quello mica muore. Anzi si vendica. È una emorragia continua. Giggino è assediato. Gli fanno finire l’ultimo vertice sulla Libia. Poi si presentano in cinque a dirgli che è finita. Deponesse le armi e riprendesse in mano le patatine. Domenica perderà in Emilia. E forse regalerà il Papeete a Salvini. Non c’è altro da fare. Deve chiamare Grillo. Beppe ha la segreteria. Poi suona libero. Ancora libero. Sempre libero. Lo ha bloccato. È la fine.
Gli pesa, la cravatta. È un cappio, la cravatta. È la fine. Saluta tutti. Inveisce contro i traditori alle spalle. Ma è finita. Lui, il movimento, l’innocenza. Gli occhi tersi. Non c’è più nulla. Adesso il movimento o diventerà partito o diventerà irrilevante. L’hanno lasciato tutti. Tranne la fidanzata. Per ora, Caro Luigi, per ora. Non è più Giggino. Non è più il nemico da abbattere. È finita. Riposa, Luigi, riposa. Se ti avanza del tempo lascia la farnesina a qualcuno che la sappia guidare. Sennò tienitela, fino a Lunedì. Lunedì è un altro giorno. Una nuova Croce. Un giorno in meno prima dell’impatto. Ma, come diceva quello che era caduto dal centesimo piano, per 99 piani andrà tutto bene.

Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,