Riceviamo e pubblichiamo la lettera che ci giunge dal filosofo, letterato e mandrillo Jean-Jacques Rousseau.
Egregio Direttore, mi rivolgo al giornale La Verità perché dal nome mi dà qualche garanzia più degli altri e mi permette di raccontare la mia verità a lungo negata e repressa. Finora ho taciuto per rispetto della volontà generale del popolo sovrano ma ora che quel movimento denominato 5 Stelle non rappresenta più né l’una né l’altro, dirò quel che penso veramente di loro, senza ipocrisie. Anzi, mi rivolgo direttamente a loro, i grillivendoli. Per anni avete abusato del mio nome attribuendolo a quella specie di giostra degli inganni che è la Piattaforma Rousseau, in cui vi siete presi gioco di me, della democrazia e dei militanti, fingendo che i suoi verdetti fossero oro colato e garanzia di volontà popolare, specchio della cittadinanza e frutto della libertà d’espressione. Avete ratificato le peggiori cose con la scusa che la Piattaforma ne dava il via libera. Anziché la democrazia avete praticato lo spirito di setta, pronti a manipolare qualsivoglia volontà generale, piegandola ai vostri programmi e interessi. E io ho ingoiato il boccone per buona creanza democratica, per rispetto dei voti che prendevate e perché bene o male dicevate d’ispirarvi alle mie idee. E senza pagarmi le royalties che invece pretendete dai vostri affiliati. Già dovetti subire sin dall’inizio l’affronto di vedermi rappresentato non da un pensatore o da un autorevole direttorio politico ma da un comico a fine carriera che trasformava gli sberleffi in invettive e il cazzeggio in rabbia politica, tramutando ogni vaffa in voti e profitti. Con la beffa aggiuntiva che anziché rousseauviano il vostro movimento veniva definito grillino, dal cognome del suddetto guitto, o più vagamente pentastellato.
Ma dopo aver subito la coabitazione vergognosa, il condominio osceno con Beppe Grillo, mi sono trovato rappresentato da un gruppo di persone che con le mie teorie, i miei studi, le mie opere, i miei insegnamenti e le mie esperienze di educatore non c’entravano un beato fico secco. E non erano nemmeno persone rimaste pure, allo stato di natura, innocenti e genuini come il mio buon selvaggio. Ma provenivano dai sottoscala delle città, dalla disoccupazione e dai mestieri improbabili, dagli spalti dello stadio dove vendevano bibite; oppure studiavano musica napoletana perché non erano nemmeno in grado di cantarla e poi passare col piattino a guadagnarsi da vivere. Facevano gli animatori al bar o erano personaggi del Grande Fratello; giustamente definiti “scappati di casa”, ignoranti e nullafacenti che s’improvvisavano statisti e balanzoni, fingevano di essere rivoluzionari e idealisti, e ripetevano a pappagallo le cose che venivano loro impartite dalla piattaforma e dalla Casaleggio & associati. Io scrissi sull’origine delle diseguaglianze e voi facevate la sceneggiata dicendo che avevate abolito la povertà. Io parlavo in difesa dei diritti universali e voi traducevate nel reddito di cittadinanza per incentivare il parassitismo di stato. Io sostenevo che la sovranità appartiene al popolo e voi traducevate in “appartiene alla rete”, cioè a un campione di militanti magari manipolati. Di mio avete preso solo l’incontinenza urinaria e qualche paranoia. Vi siete alleati prima con Salvini che era contrario alle mie idee e poi, per peggiorare le cose, vi siete alleati con chi rappresenta il potere della casta contro il popolo sovrano, le oligarchie contro la volontà generale, la democrazia delegata e sotto tutela contro la democrazia diretta e l’autogoverno del popolo. E avete sfornato una marea di minchiate, come diciamo noi a Ginevra, da far vergognare chiunque; figuriamoci un pensatore della mia fama.
Ma la cosa che reputo insopportabile è stato scomodare il mio nome, il mio pensiero, il mio progetto di democrazia non per fare una rivoluzione, cambiare lo stato delle cose, restituire al popolo, alla natura e ai cittadini lo scettro sovrano ma per lasciare al governo come unica eredità finale, una volta decimati i voti e falliti i capi, un gagà furbetto e un borghese ipocrita che è la negazione di ogni pensiero, di ogni popolo, di ogni cursus honorum politico e il trionfo del peggior trasformismo: quel Giuseppi Conte in Alpa, premier della Supercazzola, navigatore del Nulla, capace di passare da destra a sinistra passando per i frati e per la Dc, con la faccia uguale al retro, che rappresenta il Vuoto Spinto al potere. Devo dar ragione al mio collega Massimo Cacciari che lo ha infilzato con un giudizio perentorio. È una cosa che mi disgusta e mi fa arrabbiare; appellarsi al popolo sovrano, annunciare grandi rivoluzioni, scomodare il mio nome e poi lasciare al potere come souvenir del vostro passaggio, un imbucato cinico e un arrampicatore senza scrupoli, che ha come suo unico interesse quello di galleggiare e tenersi attaccato al suo trono, che ricevette per una sorte strana e beffarda. Non chiamatela più piattaforma Rousseau, chiamatela almeno Piattaforma Voltaire per alludere al Voltagabbana nativo di Volturara; o chiamatela Piattaforma Circo Orfei, per alludere alla vostra reale situazione, ma lasciatemi alla solitudine delle mie passeggiate, dei miei studi e delle mie fantasie. Non chiamate Stati generali il vostro stato di decomposizione. Ho avuto, è vero, cinque figli illegittimi ma non pensavo di avere a babbomorto uno sciame di figli illegittimi, abusivi e imbarazzanti come voi, che si vendono la mia eredità, reclamano posti di potere e temono il voto. Sono un pensatore e non un pagliaccio, non posso essere dei vostri.
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