Il consueto pregiudizio, la solita supponenza, quasi che il Coronavirus fosse discriminante ed eleggesse in modo razzista quei beceri di destra che isolano i contagiati e predispongono le misure di analisi e di prevenzione. Tempi fa il quadro dei ritardi governativi il politicamente corretto a cui si adeguono con gesti azzardati discutibili, stigmatizzando che il virus è reale, dilaga e tutte le cautele sono doverose.
“Chissà se adesso tutti quelli che come il sindaco di Firenze Dario Nardella lanciavano sui social network l’hashtag #abbracciauncinese, torneranno a farci la morale sul nostro razzismo da cavernicoli. Chissà se oggi tutti quelli che hanno applaudito il presidente Mattarella per il suo beaugeste nella scuola con bambini orientali, torneranno a farci il fervorino sugli italiani cafoni e psicotici. Ma il problema non è mai stato il razzismo verso i cinesi, ma cosa dalla Cina poteva arrivare.
Allora sei un fascioleghista
Ovvio, il richiamo a non criminalizzarli è sacrosanto. Ma c’è uno strano riflesso nel modo di affrontare le emergenze in Italia come la querelle tra la Regione Toscana e il virologo Burioni ha ben mostrato. Il medico ha infatti sempre invitato alla prudenza, a non sottovalutare le possibilità di contagio, a mettere in quarantena chi arrivasse in Italia da zone colpite dal Covid-19. Cosa che non ha fatto la Regione guidata dal presidente piddino Enrico Rossi che non ha voluto prendere provvedimenti con le 2.500 persone giunte dalla Cina. Ne è seguito uno scambio di battute concluso dal governatore toscano con gli attacchi al virologo di essere o «in malafede» o «un fascioleghista». Ma Burioni mica chiedeva di gettare la gente in gattabuia e di buttare la chiave, ma solo che si facesse in modo che rimanesse in casa un paio di settimane.
Tutto bello, tutto giusto
È strana questa cosa per cui si scambia la prudenza per razzismo. Come se la priorità numero uno fosse quella di dimostrare di essere open minded, come le sardine che fanno la passeggiata in via Paolo Sarpi a Milano o la streetartist Laika che celebra sui muri romani la superiorità intellettuale di chi non si fa «contagiare dall’epidemia dell’ignoranza». Tutto bello, tutto giusto, ma che c’entra con la realtà di un virus di cui si sa poco e di un regime, la Cina, di cui non ci si può fidare perché non sa (opzione benevola), non può (opzione mediana) o non vuole (opzione malevola) dare informazioni credibili sul fenomeno?
La quarantena non è discriminazione
In ogni caso, come ripetono ormai da settimane praticamente tutti i virologi, da Ilaria Capua a Carlo Federico Perno, occorre essere molto accorti (che vuole dire realisti, non allarmisti); eppure la prima reazione di certa stampa e certi settori della nostra società sembra essere quella di non voler apparire “razzisti”. Ma che c’entra? Come ha detto ancora Burioni non è questione di destra o sinistra, ma solo di prendere tutte le precauzioni adatte. Quindi: no panico, no razzismo, ma nemmeno antirazzismo facile. «La quarantena non è discriminazione o razzismo, ma l’unica difesa contro questo virus».
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845