Per i clochard, questa Milano senza voci è emarginazione doppia, è fame

Milano

Quei sacchi disseminati sulle strade, ombre dimenticate, annegano nel loro tragico isolamento. Quei sacchi sono vite senza volontà, accartocciati nei loro stracci, difensori estremi di una tenda a protezione, forse solo ricchi di rimpianti. Sbigottiti da un silenzio irreale, feriti nell’anima da quel mostro chiamato coronavirus, ma chissà che cos’è, da dove viene…e la gente si è chiusa in casa e le strade sono deserte e le luci sembrano piangere…E quel sacco senza fissa dimora è così lontano dalla vita, così isolato da quell’incubo che fotografa il nulla…Il clochard ha fame e sete e non può tendere la mano… Sicuramente i volontari sono attivi, operano nonostante tutto, il cibo non sempre è stato reperibile, alcuni hanno preferito stare a casa, le mense aperte lavorano con solidarietà, a volte sono prese d’assalto o lontane, la rete che si è costituita tra i vari istituti che distribuiscono pasti caldi è attiva, ma trovare il cibo non sempre è facile. Ulderico Maggi della comunità di Sant’Egidio stigmatizza a Il Giorno “Quando si crea un allarme sociale di questo tipo quali sono i rischi? «Che ci siano ancora più discriminazioni verso chi è più povero, che si trova di fronte a nuovi problemi da affrontare. È possibile, ad esempio, che chi chiede l’elemosina sulla strada non riceva più nulla perché le persone hanno paura ad avvicinarsi. Ma il coronavirus non è stato certo diffuso dai senzatetto». E la notte soprattutto inquadra un abbandono senza voci, a rappresentare l’estensione di un fenomeno che Sala non sa vedere.

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