Quando gli ospedali sono impraticabili, i medici per assistere i malati di coronavirus vanno anche nelle tende. Il Parlamento italiano, inattivo da ormai due settimane, potrà fare la fatica di spostarsi a pochi chilometri dal centro di Roma e riunirsi in sicurezza in un palazzetto dello sport? Il tema di come garantire la funzionalità dell’assemblea parlamentare lo ha posto con forza ieri su questo giornale Alessandro De Angelis, e nei giorni precedenti ne avevano già parlato uomini di differenti sensibilità e schieramenti come Andrea Cangini e Luigi Zanda. Da oggi però, con il decreto governativo sull’emergenza economica varato e da convertire in legge, la questione diventa non più rinviabile. E poi, dobbiamo attrezzarci a un lungo periodo di quarantena. Noi parlamentari non possiamo pensare di farla franca limitandoci a nascondere la polvere sotto il tappeto.
Il fatto è che fin quando c’era da approvare l’autorizzazione a uno sforamento emergenziale di bilancio, fin quando insomma l’esito del voto era scontato perché unanimemente condiviso, è stato un atto di saggezza far riunire le Camere a ranghi ridotti e far votare i parlamentari in gruppi, “per greggi successivi”, per ottemperare al proprio dovere e allo stesso tempo ridurre il rischio. Ma se ora che c’è da entrare nel merito delle misure di contenimento del contagio economico si continua a ritenere che il dibattito, il contraddittorio e la critica siano un evitabile orpello, rischiamo di mettere in quarantena la democrazia e chissà se e quando ne esce. Qualcuno invoca il “voto a distanza”. Non mi convince. Il ruolo dei rappresentanti del popolo non si può limitare a pigiare un tasto verde o un tasto rosso, a dire Sì o No al provvedimento di turno. Io, per esempio, non intendo alzare i toni ma vorrei dire pacatamente in Parlamento che non condivido l’impostazione del decreto di queste ore perché mi sembra inficiata da un pregiudizio negativo nei confronti di partite Iva, professionisti e piccole imprese: il “paziente zero”, quello che rischia di non farcela. E, poiché il sistema economico è un tutt’uno, se si sacrifica chi per primo e più degli altri ha subìto il costo di quest’emergenza, si rischia che la si paghi tutti. Anche i più garantiti.
Questi problemi voglio discuterli col governo. Voglio spiegarmi, argomentare. Presentare emendamenti. Non voglio limitarmi a un semplice “no” e neppure delegare il mio voto a un tavolo ristretto, quasi si trattasse di una trattativa sindacale. Se così accadesse avrebbe avuto ragione Gianroberto Casaleggio, persona intelligentissima ma che ho considerato un lucido e pericoloso avversario: significherebbe che la Rete può sostituire i Parlamenti. Se questo sarà stato vero in uno dei momenti più difficili per il nostro Paese, perché non dovrebbe esserlo in tempi ordinari? Mi rendo conto dell’obiezione: siamo rappresentanti del popolo e se le istituzioni hanno fatto un appello a “stare a casa” è impossibile farsi vedere stipati in un’aula a venti centimetri di distanza l’uno dall’altro. Oggi un’immagine in televisione vale più di cento sermoni. E poi, anche se questa è una guerra, un soldato in prima linea non rischia solo per sé: deve anche preoccuparsi di non divenire strumento del contagio. Tutto ciò va considerato, ma non può portare i parlamentari a restarsene a casa. Medici, infermieri, forze dell’ordine, panettieri, cassiere rischiano ogni giorno: i parlamentari che fanno, scappano? Disertano?
La storia ci offre tanti esempi di Parlamenti che, in situazioni d’emergenza, si sono riuniti fuori dalle loro sedi. Perché in questa condizione eccezionale non si può trovare una caserma, un pala-congressi, un palazzetto dello sport della capitale, farlo sanificare e adibirlo a sede della Camera e del Senato per qualche tempo, rispettando precauzioni e distanze? Weber avrebbe detto che, così facendo, si servirebbe sia l’etica della convinzione che l’etica della responsabilità. Noi aggiungiamo che così si salverebbero le istituzioni rappresentative evitando uno squilibrio dei poteri che non ha precedenti. E alla nostra democrazia si farebbe un servizio migliore di quello di chi ha pensato – è successo anche questo – di mettersi su un balcone a cantare “Bella ciao!”
Blog Gaetano Quagliariello
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