Ribadisco qui con l’aggiunta di qualche fronzolo non polemico il comunicato che ho dato alle agenzie stampa (ammesso e non concesso che il mio compagno di banco cicciottello Ale De Chirico lo abbia sottoscritto e inviato agli indirizzi giusti) e che il mio sindaco Beppe Sala, a quanto pare, non condivide, poiché ad oggi ritiene che #milanononsiferma. E invece secondo me Milano si deve fermare.
È il focolaio generale dell’epidemia in Italia. Sono quasi un milione e mezzo di abitanti potenzialmente aggredibili dal nanokiller. Dai dieci ai trenta mila sono già in suo potere. Perciò, l’ho comunicata così alle agenzie, ben sapendo che altri colleghi consiglieri, di tutte le parti politiche, condividono la sostanza della preoccupazione. (So anche che ci sono colleghi della maggioranza di sinistra che la sottoscriverebbero anch’essi. Ma in pectore, perché non vogliono violare la disciplina di partito. Il mio consiglio modesto a costoro è: indisciplinatevi!).
Dunque, partiamo dal grido di allarme del responsabile della sanità lombarda. «Abbiamo un disperato bisogno di invertire la curva dei contagi». Se questa affermazione drammatica dell’assessore Giulio Gallera è vera, c’è un unico modo di «invertire la curva»: bisogna fermare tutto quello che è occasione di contagi, in primis la mobilità promiscua.
Inoltre. Se è vero, come dicono gli amministratori regionali, che c’è un 40 per cento di cittadini che ancora non hanno elaborato il messaggio “restate a casa”, chiudere un veicolo di coltura e diffusione del virus come sono le metropolitane darebbe un messaggio forte a chi continua a sottostimare la pandemia e faciliterebbe l’avvicinarsi al punto di inversione della curva dei contagi.
Ed ecco cosa ritengo indispensabile adesso, a partire da oggi. Incominciare col chiudere tutte le metropolitane. O avvertire a caratteri cubitali all’entrata di ogni metro: “Sappiate che il 2 per cento di quanti useranno la metropolitana in questi giorni si infetterà e morirà”.
Visto il progredire esponenziale della pandemia il problema della mobilità/promiscuità diventa cruciale. A cosa servono i controlli di polizia ed esercito se poi di fatto i cittadini si accalcano o comunque viaggiano su mezzi pubblici e metropolitane in gruppi consistenti? Dalle notizie che abbiamo risulta ormai chiaro che la lotta al virus è diventata una corsa contro il tempo.
Se questo virus è più veloce delle nostre risposte, per quanto eccezionali esse siano – tutto il bene che sappiamo della eroica prestazione di medici infermieri gente comune, tutti, tutti! – le nostre risposte restano inadeguate finché non si toglie al virus la facilità di spostarsi da un corpo all’altro. Il 10 per cento degli infettati finisce in terapia intensiva. Questo 10 per cento è il dato che ci schianta.
Bisogna chiudere anche alla socialità dei pendolari e, come minimo, chiudere appunto tutte le metropolitane. Ovvero chiudere la circolazione nel sottosuolo, ambiente chiuso, dove è umanamente impossibile gestire la distanza prudenziale tra le persone e dove l’aerazione non è certo ideale per salvaguardare la salute umana dal micidiale virus che sta dimostrando un menefreghismo incredibile davanti a tutte le nostre precauzioni.
Come andrà a lavorare quel resto di popolazione che ancora ha un lavoro regolare, oltre al personale sanitario? Andrà in automobile, in bici, in taxi per medici e infermieri, a prezzi politici (intervenga il Comune con sostegno sussidiari). Aprire tutte le aree cittadine chiuse a tutti i mezzi possibili ma non promiscui. Questa è oggi l’urgenza ecologica.
E l’economia? Ci pensiamo dopo. Adesso è chiaro che Milano è Wuhan, un immenso focolaio. Sono passate tre settimane da che il mio amico Francesco Wu mi ha detto: «Guarda che non ha senso pensare all’economia in questo momento. Te lo dice uno che con tutta la comunità cinese ha autonomamente deciso di chiudere tutto e mettersi in quarantena. Te lo dice una comunità per la quale il lavoro è tutto. In questo momento c’è solo la salute. Tra un mese o quando sarà, vedremo di rimboccarci le maniche e ricominciare a riattivare l’economia». Non capisco come il sindaco Sala non capisca. È un brava persona, ma forse non è benissimo consigliato.
Gridato speriamo non nel deserto questo appello a chiudere il sottosuolo di Milano, non dimentichiamo che la giunta di sinistra meneghina, cosiddetta illuminata e portata sul palmo di mani dai Repubblicone e Corrierone della Sera, ha stanziato solo 3 milioni in sede di approvazione del bilancio per questa spaventosa emergenza, e su un bilancio complessivo di ben 3 miliardi!
Certo, hanno sottovalutato non dolosamente l’atomica che stava per esplodere. Ma stanziare lo 0,1 per cento delle risorse è un bracciacortismo che le opposizioni hanno denunciato da subito. Prendendosi dai pompieri del sindaco degli «irresponsabili» e «sciacalli». E adesso beccatevi l’umiliazione di due privati, Berlusconi senior e Caprotti junior, che da soli – due individui – hanno donato per l’emergenza coronavirus, sette volte tanto quanto ha stanziato l’istituzione Comune di Milano.
Direbbe l’antico milanese che sono Barlafus e balabiot quelli di una certa élite del circolo dei Navigli. Élite tutta frufrù di lezioni antistereotipo di genere e di notevole antirazzismo zuzzurellone. Poi quando arriva l’imponderabile c’è questa fatica a fare 2+2. A casa mia, non ti puoi concentrare a non avere nessuno in giro per le strade e il pienone nel sottosuolo. A casa mia, prima chiudi tutto e prima eviti di vanificare la lotta agli assembramenti che stai combattendo in superficie con polizia esercito e carabinieri. Sbaglio? Non lo so. Io credo di sbagliarmi in tutto tranne che nell’aver ragione.
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845