Dobbiamo scegliere tra fame e coronavirus?

Milano

Parlare con lo sguardo, un gesto, offrire il cuore in uno scambio di umanità. E questo è il mondo del volontariato, chiamato da un’esigenza che, forse, dovremmo chiamare vocazione. Il trionfo di una presenza che esalta il popolo (e non sembri un’esagerazione) italiano. Il tempo, le restrizioni, la perdita del lavoro, l’assenza di un lavoro e la nuova marginalità sono l’incubo della povertà.Gli istituti di carità ogni giorno verificano un numero sempre più numeroso di richiedenti. Ma che cosa scegliere il virus o la fame?

I nuovi poveri rappresentano la società di domani. Sono Partite Iva, precari, badanti e baby sitter, lavoratori in nero, addetti a ristoranti e alberghi almeno in 180 mila che rischiano di affondare. Rappresentano la dignità di chi fino ad oggi ha faticato, spesso ha vissuto alla giornata, ma sono la macchina operativa in molti casi del  tessuto territoriale. E se molti hanno donato con generosità, mancano ancora e mascherine e tamponi. La distanza obbligatoria diventa sorriso e umanità,  nonostante la rabbia impotente di molti. Anche al povero che ha perso tutto o quasi, occorre creare condizioni di ripresa con una equa ripartizione di possibilità. I volontari, tutti i volontari, sanno parlare con lo sguardo, anche nelle camere di terapia intensiva, con la solitudine soffocante del vecchio che intuisce la gravità.

Non volevo esprimere considerazioni politiche che altri su questa testata scrivono con professionalità, ma dare l’evolversi di un quadro che, per ora, vive sulla condivisione di un esercito di buona volontà

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